L’inafferrabile verità del cineasta: Fulci for Fake di Simone Scafidi

Fulci, chi era costui? Probabilmente il quesito manzoniano avrebbe avuto senso una ventina d’anni fa, quando il regista romano scomparve celebrato da pochi – e qualcuno magari ricorderà pure come la notizia stessa fosse stata oscurata dalla contemporanea dipartita del ben più riconosciuto Krzysztof Kieslowski. Poi è arrivata la rivalutazione, a largo raggio, per certi versi più “umorale” e “passionale” di quanto non storica o analitica (sebbene esempi illuminati non manchino), con entusiasmi da pubblico che osanna la sua rockstar esprimendo un amore e un entusiasmo infiniti al solo sentirne pronunciare il nome. Ugualmente, lui, Lucio Fulci, resta una figura inafferrabile come quella filmografia transitata dalla commedia all’horror, attraversando pressoché tutti i generi (western, giallo, erotico, fantascienza, storico, avventura per famiglie…) e circondata da una narrazione leggendaria che lo stesso regista, noto affabulatore, ha sempre cercato di coltivare. A raccogliere la sfida del capire l’uomo prima ancora che l’artista, ci prova Simone Scafidi con questo Fulci for Fake in cui, come nel modello “originale” wellesiano, si gioca tra realtà e finzione immaginando un attore che, per interpretare la parte di Fulci in un suo biopic, intervista varie persone che lo hanno conosciuto. Dagli interpreti (Paolo Malco), ai tecnici (il mago delle luci Sergio Salvati a quello delle note Fabio Frizzi) ai colleghi (Enrico Vanzina, figlio del suo maestro Steno), al biografo Michele Romagnoli, solo per citarne alcuni, un ruolo importante lo giocano le due figlie dell’autore: la recentemente scomparsa Camilla (il film è dedicato alla sua memoria) e Antonella, che permettono anche l’accesso a inediti e gustosi filmati privati. Proprio l’avvicendamento delle due scandisce in un certo qual modo il ritmo e il tono del racconto: Camilla, già aiuto su alcuni dei set del padre, lo racconta con la complicità di chi in un certo qual modo ha imbastito un rapporto basato sulla continuità d’intenti, laddove Antonella, ribelle e spesso in contrasto, lo ritrae anche per questo con una lucidità che sconcerta e che denota un affetto mai venuto meno negli anni.

 

 

 

Il percorso, volutamente non lineare, cerca così di restituire un ritratto sfaccettato, che riesce a formulare ipotesi molto interessanti, circa i legami tra il privato e il pubblico di Fulci, fra le tragedie che hanno colpito prima la moglie (morta suicida) e poi Camilla (che ha rischiato la paralisi per una caduta da cavallo). Il film ha così un andamento ondivago, a tratti molto intimo e appassionante, in altri casi più irrisolto: il rapporto con le donne, pure centrale nella trattazione, resta ad esempio abbastanza incompiuto nella sua articolazione (sarà un caso, ma non è intervistata neppure una delle interpreti fulciane). Il tentativo di quadratura compiuto da Davide Pulici di Nocturno (orientato più che altro a delimitare un presunto specifico fulciano), pure non disperde davvero l’inafferrabilità dell’artista. In questo gioco di specchi, di apparenze che dicono, ma che in realtà non afferrano davvero, tra pubblico e privato, il viaggio si rivela ad ogni modo interessante, ben sintetizzato da una delle immagini più potenti: quella che, a inizio film, vede l’interprete Nicola Nocella strapparsi dal viso il pesante trucco che lo ha trasformato in Fulci, con un efficace effetto quasi “splatter” degno delle migliori scene dell’autore.