Lo zoo di vetro, un classico della drammaturgia americana, scritto da Tennessee Williams nel 1944 (e portato al cinema nel 1950 da Irving Rapper con Jane Wyman, Kirk Douglas e Gertrude Lawrence e, nel 1987, da Paul Newman con Joanne Woodward, John Malkovich e Karen Allen) cambia ambientazione e dimostra tutta la sua forza e attualità.
Non più il profondo sud degli Stati Uniti degli anni 40, ma un mondo più vicino a noi per il ritratto di famiglia in un interno realizzato da Arturo Cirillo, attore e regista tra i più interessanti e camaleontici del panorama teatrale, che ritaglia per sé il ruolo di Tom, il figlio-fratello-narratore che deve fare i conti con il proprio senso di colpa. Un dramma della memoria, secondo la definizione dello stesso Tennessee Williams, in cui il passato e il presente convivono e in cui i personaggi sono condannati a una realtà che non corrisponde loro, ma che non riescono a trasformare. I loro sogni e desideri sono stati costantemente disattesi e continuano a esserlo. Amanda, la madre possessiva e oppressiva (Milvia Marigliano) vive nel ricordo della sua giovinezza, in cui era corteggiata e vinceva le gare di ballo, ma è stata abbandonata dal marito, quindi tormenta i figli ed è patetica, se non grottesca, nel suo cercare di sistemare le cose. Laura (Monica Piseddu) è timida a livelli patologici, ma è forse la più lucida della famiglia: è zoppa – nonostante la madre neghi l’evidenza – e fa fatica a entrare in relazione con il genere umano quindi sa di essere destinata alla solitudine e preferisce rifugiarsi tra la sua collezione di animaletti di vetro, fragili come lei. Tom esce di casa tutte le sere per vivere le vite e le avventure degli altri al cinema, scrive poesie di nascosto, ma subisce le angherie della madre e fa il magazziniere aspettando una svolta che non arriva. L’elemento perturbante è Jim (Edoardo Ribatto), l’amico e collega di Tom, che quest’ultimo invita a cena, su pressione della madre, per farlo conoscere alla sorella. Appena lo vede, Laura lo riconosce, è un ex compagno di liceo, l’unico ragazzo di cui possa dire di essere stata innamorata. È l’ennesima illusione, la possibilità di un’isola (felice), destinata a infrangersi, come l’unicorno del suo zoo di vetro. Cirillo dirige un cast di attori tutti perfettamente in parte e come regista gioca a carte scoperte scegliendo di non assecondare la finzione: gli attori sono sempre in scena (sui lati bui quando non direttamente coinvolti), la musica – notevole la scelta delle canzoni di Luigi Tenco a sottolineare il fallimento e il mal di vivere – viene azionata dagli stessi interpreti, i riflettori sono a vista… Una direzione antinaturalistica che contribuisce alla riuscita di uno spettacolo che lascia il segno riuscendo a collocarsi fuori dal tempo perché, come si dice nel testo, «il futuro diventa presente, il presente passato, e il passato un eterno rimpianto».
Milano, Tieffe Teatro Menotti fino al 19 aprile