Perché MUBI sta distruggendo la sua community

Qualche giorno fa, la piattaforma di streaming MUBI ha rimosso tutti i commenti degli utenti dal proprio sito web. Proprio così. Non mi riferisco alle brevi recensioni degli utenti , che sono ancora visibili, almeno per il momento. Ciò che è scomparso nottetempo è la totalità dei commenti, degli scambi e delle conversazioni degli e tra gli utenti, ovvero quella “discussione” sul “grande cinema” che MUBI menziona in homepage e che sfrutta come valore aggiunto, come unique selling proposition. Detto altrimenti, oltre un decennio di contributi, approfondimenti ponderati e “recensioni estese” (dato che MUBI chiama “recensione” un testo leggermente più lungo di un tweet, molti utenti si sono affidati alla sezione dei commenti per fornire ulteriori approfondimenti) sono stati cancellati con un solo clic, unilateralmente, senza alcun preavviso. Infatti MUBI non ha avvisato in anticipo gli utenti di questo drastico cambiamento. Il supporto tecnico dell’azienda ha risposto allo shock, alla frustrazione e allo sconcerto degli utenti con un messaggio laconico standard secondo cui la funzione di “commento” è stata utilizzata da pochi clienti, che è il cliché delle pubbliche relazioni standard più usato ed abusato in questi casi. È anche palesemente falso. Lungi dall’essere un episodio isolato, quest’ultimo evento segna il climax di una precisa strategia che mira a sedare la community.

 

 

Dato che negli ultimi mesi MUBI ha sistematicamente eliminato, tagliato e amputato diverse funzionalità “social” – per esempio l’opzione “Feed” che consentiva agli utenti di tenere traccia delle attività di visione dei colleghi, anche in questo caso, senza alcun preavviso – gli utenti si sono comprensibilmente infuriati. Nessuno ha avuto la possibilità di eseguire il backup e archiviare ciò che ha scritto o letto negli ultimi dieci anni. Una mossa del genere comunica un messaggio chiaro: “MUBI se ne frega dei contributi degli utenti e può cancellarli tutti, in qualsiasi momento, per qualsiasi motivo”. Sebbene legittimo – i termini di utilizzo del servizio sono chiari – tale comportamento spregiudicato evidenzia l’ipocrisia sottesa all’uso insistito da parte di MUBI di termini come “comunità”, “passione”, “amore” (vedi sotto) per promuovere il proprio servizio, per non parlare di una sbalorditiva mancanza di considerazione, un atteggiamento insolito persino per le società notoriamente sfacciate, spietate e prive di tatto della Silicon Valley.

 

 

Questo episodio è significativo per una serie di motivi, inclusi ma non limitati ai tre che illustro di seguito:

 

a) Originariamente concepito con il pretesto di porsi come “comunità di appassionati di cinema”, MUBI sta rapidamente diventando come qualsiasi altra piattaforma di streaming: aziendale, sterile, generica. Non uno “spazio sociale” bensì un mero “sistema di distribuzione” dei contenuti. È ragionevole aspettarsi che nei prossimi mesi – se non settimane – MUBI domerà e sventrerà ulteriormente ciò che resta della “community” più attiva, rimuovendo le restanti funzionalità, tra cui le liste, la capacità degli utenti di “seguirsi” a vicenda e la possibilità di scrivere una “recensione”. Dopotutto, Netflix o Amazon Prime non presentano contenuti generati dagli utenti e, a questo punto, MUBI non è che una versione boutique di questi servizi. La decisione di MUBI di sbarazzarsi dei suoi membri più attivi dopo tanti anni di contributi non retribuiti (in realtà, non è corretto: gli utenti più devoti pagano un abbonamento mensile o annuale per poter contribuire al sito e improvvisamente i frutti dei loro sforzi sono svaniti – er, possiamo riavere i nostri soldi? ), senza preavviso ospiegazione, è un’ulteriore prova che l’era del Web 2.0, con le sue ingenue promesse (fantasie) di coinvolgimento, co-partecipazione degli utenti e “democratizzazione” delle pratiche creative, è definitivamente giunta al termine. La famigerata “cultura della convergenza” discussa da Henry Jenkins è arrivata al capolinea. Del resto, i cosiddetti contenuti generati dagli utenti (in inglese, UGC, acronimo di User Generated Content) è sempre utilizzato come bieco pretesto per sfruttare il desiderio compulsivo degli utenti di “condividere”. Nel caso di MUBI, la cooptazione di questo meccanismo è più che mai evidente. Beninteso, i clienti sono stati i primi a illudersi che i loro contributi contassero qualcosa. Io per primo: per me MUBI era un luogo o meglio il luogo – per discutere di cinema con persone che non ho mai incontrato nella vita reale, una troupe geograficamente dispersa, maunita da un’autentica passione per il cinema. Ho imparato molto di più dagli “utenti” di MUBI che da qualsiasi motore di raccomandazione basato su algoritmi e playlist “curate da esperti”. Ogni volta che mi sentivo frustrato dopo l’ascolto degli odiosi podcast di Film Comment su questo o quel film, mi rivolgevo ai commenti di MUBI per trovare conforto. Sono stato felice, negli anni, di pagare un abbonamento mensile per accedere e contribuire a questo tesoro di informazioni generate in modo spontaneo dalla comunità, senza obiettivi di monetizzazione o “fama”. Per quanto riguarda i film proposti da MUBI: beh, il loro appeal è molto più limitato. Al giorno d’oggi puoi recuperare film d’autore e indipendenti praticamente ovunque. Inoltre, preferisco guardare qualcosa di degno in un cinema che su uno stupido schermo televisivo.

 

b) Da qualche anno MUBI investe esclusivamente sui contenuti anziché sulla community: l’azienda sta acquistando i diritti per distribuire e distribuire un numero crescente di film. È diventato un publisher indie a tutti gli effetti. Ha introdotto un podcast. Sta persino costruendo cinema IRL. Tutti questi “prodotti”, tutti questi “contenuti” hanno un prezzo: MUBI ha rinunciato completamente all’idea di coltivare, sviluppare e cementare la propria comunità. Ha smesso di preoccuparsi del principale catalizzatore di crescita: un esercito di “cinefili” ovvero 10–12 milioni di “membri”. Conosco molti “clienti” che, negli anni, sono diventati degli evangelisti, incoraggiando studenti, parenti e amici a “unirsi al culto” e ad abbonarsi a MUBI. Infatti, ero tra questi. Mi consideravo un “fan” sin dai tempi in cui la piattaforma ha debuttato come The Auteurs nel 2007. Chiaramente, i contenuti generati dagli utenti sono spesso problematici. Di recente ho sottoposto all’attenzione di MUBI Italia diverse “recensioni” nella sezione italiana del sito farcite di omofobia, razzismo, blasfemia e misoginia. Roba davvero terribile. Ma anziché affrontare il problema in modo intelligente – questi casi erano relativamente rari e c’era un pratico pulsante “REPORT” per segnalare contenuti problematici, dopotutto –, MUBI ha scelto di rimuovere l’intera sezione dei commenti, che includeva alcuni degli scambi più vitali, creativi e scambi. Praticamente hanno buttato via il bambino con l’acqua sporca. Hanno bombardato un intero paese con l’atomica per sbarazzarsi di una manciata di terroristi. Questo non è solo un passo falso: questa è pura incompetenza.

 

c) Nelle ultime settimane, centinaia di utenti irriducibili si erano “radunati” sulla pagine della recensione di Mothra contro Godzilla (1964) dell’utente HKFanatic, un critico cinematografico americano che scrive per Detroit Rock City, per discutere della (summenzionata) rimozione perentoria da parte di MUBI della funzione “Feed”. La pagina si è riempita rapidamente di suggerimenti, commenti e lamentele. È ovvio che gli amministratori non hanno apprezzato il fatto che gli utenti abbiano sostanzialmente dirottato una pagina di commenti per discutere delle politiche più discutibili dell’azienda, alla luce del fatto che in precedenza avevano boicottato e represso sistematicamente qualsiasi tentativo dei membri di “socializzare” e di interagire “orizzontalmente”. L’uso di una pagina di revisione per discutere le politiche aziendali è un esempio di ciò che, nel celebre libro L’invenzione del quotidiano (1980), Michel De Certeau definisce una “tattica” (dal basso verso l’alto) in opposizione alle “strategie” istituzionali (dall’alto verso il basso). Era solo questione di tempo prima che MUBI si levasse la maschera e cominciasse a trattare i propri utenti per quello che sono: non “membri” o “partner”, bensì meri clienti. Ogni illusione di una “comunità di cinefili” si è definitivamente infranta. Gli abbonati paganti sono semplici dati da estrarre, classificare, targettizzare. L’unica cosa che conta per MUBI è il “valore medio di vita” dei clienti (leggi: per quanto tempo sono disposti a pagare). Una volta che gli utenti inizieranno a praticare operazioni di guerriglia, come il review bombing delle release di MUBI sul loro sito – un altro tipo di “tattica” à la De Certeau – l’opzione per scrivere una recensione verrà completamente rimossa o, più probabilmente, le reviews a una stella verranno rimosse/nascoste, ma prenderemo comunque i vostri soldi, grazie mille.

 

 

Questo episodio –che userò nei miei corsi accademici come caso di studio giacché estremamente istruttivo circa i limiti dell’UGC – ci ricorda che non c’è nulla di social nei social media e nelle piattaforme digitali: “social” è sempre stato un espediente di marketing per estrarre dati e vendere informazioni a terzi. Inoltre, la furia che MUBI ha scatenato contro la propria comunità – che ricorda le attività antisindacali di Big Tech – ha chiarito che non c’è alcuna differenza tra il comportamento di spietati edgelord come Mark Zuckerberg o Elon Musk e le decisioni prese dall’illuminato “amante del cinema” fondatore e CEO di MUBI Efe ÇakareI. Tutte le aziende tecnologiche operano allo stesso modo: Uber e MUBI sono sostanzialmente la stessa cosa.

 

Lo scorso settembre, Çakarel ha dichiarato a Deadline che “i marcatori di dati chiave impiegati dagli analisti di Mubi […] sono il valore medio di vita dei clienti e i tassi di fidelizzazione in un determinato territorio […] Alcuni [utenti] se ne vanno dopo un mese. Altri sono ancora con noi dopo 12 anni. Se stai con Mubi da sei mesi, probabilmente ci sarai per sempre. La curva si appiattisce dopo un certo punto”. Tuttavia, ho la sensazione che, per molti ”cinefili”, quel per sempre sia ormai finito: da quando MUBI ha iniziato il processo di repressione sistematica della sua comunità core, c’è stato un esodo verso altre piattaforme, come Letterboxd e Discord.

Cosa succederà, adesso?

Non mi aspetto un lieto fine.

 

Questo intervento è stato pubblicato originariamente il 28 ottobre 2022 in lingua inglese sul sito mattscape.com