Rodrigo Plá: quando fai cinema giochi con la narrazione

Sonia ha il marito malato di cancro. Un farmaco sperimentale di un medico di Houston sembrerebbe aprire spazio alla speranza, ma l’assicurazione rifiuta il consenso al trattamento. Perciò la donna, accompagnata dal figlio, irrompe armata in casa del medico curante per costringerlo a firmare l’autorizzazione. Un monstruo de Mil Cabezas, film d’apertura di Orizzonti, segna il ritorno in laguna dell’uruguayano Rodrigo Plá (La zona  sorpresa del 2007, miglior opera prima a Venezia).

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Più punti di vista

Il film è tratto da un romanzo narrato in prima persona. Diversi personaggi che hanno differenti punti di vista e tutti parlano in prima persona. Con Laura Santullo, l’autrice del romanzo e sceneggiatrice, fin dall’inizio concordavamo nella volontà di portare questa caratteristica nel film. La molteplicità dei punti vista permette di mettere meglio in scena il dilemma etico del personaggio. Il fatto di frammentare, suddividere le informazioni aiuta a dosare la storia, a mantenere la tensione, a fare immaginare allo spettatore le differenti soluzioni. In fondo quando fai cinema giochi con la narrazione.

 

Monstruo01-BL’improvvisazione

Lavorare a partire dal romanzo è stato molto importante. Jana Raluy, la protagonista, aveva già letto il libro prima di lavorare sulla sceneggiatura. Quindi ha potuto vedere tutte le modifiche che ha subito questo personaggio. E tutti hanno contribuito. Partivamo dalla prosa del romanzo per montare le scene, lasciavamo spazio all’improvvisazione. Jana ha introdotto molti elementi personali che sono usciti durante le prove, lei è un attrice di teatro, questo era il suo primo film. Il suo personaggio ha una resistenza al lutto, è incapace di viverlo e lei ha lavorato molto su questo aspetto. Con Laura l’avevamo vista dieci anni fa a teatro e ci aveva impressionato molto. Abbiamo creato un vero e proprio laboratorio dove venivano introdotte varianti allo script e molte sono finite nella versione finale. Questo processo è durato quasi sei mesi.

 

La narrazione

Molti mi hanno fatto notare che il film è breve. Da sempre sono dell’idea che ogni film abbia una propria durata quasi naturale. Poi nella post-produzione bisogna trovare un equilibrio. Lavorando sugli svariati punti di vista eravamo in grado di allargare e restringere i tempi, per questo li abbiamo cambiati una ventina di volte. Alcune sequenze sono state eliminate perché a nostro parere rallentavano l’azione e diluivano la tensione. Visto a posteriori si è trattato di un interessante esperimento narrativo.

 

L’assenza dello stato

C’è un momento nel quale la donna cede. Si tratta di un passaggio molto emozionale che ci permette di evidenziare l’assenza dello stato. Un vuoto dove nessuno interviene a dirimere i conflitti, sono cittadini comuni che si trovano ad affrontare muri e allora qualcuno scoppia. Abbiamo analizzato questa percezione portando alla luce differenti pareri. Mi piace avere dei personaggi che possono scegliere, anche se si tratta di un dilemma etico hanno le risorse per prendere una decisione e magari sbagliare. Questo passaggio mi interessa molto come cineasta. Noi pensiamo che lo sguardo dell’altro sia fondamentale e ci aiuti ad avere un punto di vista personale. Così però si modifica la realtà, la sua percezione. Per affrontare questa tematica abbiamo lavorato tecninicamente sui riflessi, la distorsione. I film non sono un discorso e non devono dare un messaggio definito, l’importante è che gli spettatori si pongano delle domande, ragionino. Per questo non abbiamo messo nel film la conclusione della causa, gli spettatori sanno che c’è il processo ma non vengono informati di come va a finire. Volevamo che ogni spettatore giungesse alle proprie conclusioni.

 

Luce e ombra

Quando vedo le location cerco spazi che abbiano una certa profondità in modo da potere agevolmente lavorare con la luce e le ombre. Di solito giriamo una scena senza interruzioni e poi decidiamo esattamente dove mettere la macchina da presa. C’è un continuo crescere e diminuire delle riprese si gioca col fuoco, gli spazi, la profondità di campo. La dinamicità di un film si crea grazie agli attori che entrano ed escono dai luoghi, questi movimenti sono poi esaltati dal suono, in questo casa frammentato, dato che  deve aiutare a rimanere ad una certa distanza dalle emozioni.  In questo modo lo spettatore può scegliere come partecipare e non gli viene imposto nulla.