La Guerra Fredda, le spie più o meno improvvisate, una storia vera che portò l’Unione Sovietica al ritiro dei missili da Cuba e alla fine della crisi missilistica con gli Stati Uniti. Oggi alla Festa del Cinema di Roma è stata la giornata dell’anteprima di Ironbark (The Courier), che uscirà nelle sale italiane poco prima di Natale con il titolo L’ombra delle spie per Eagle Pictures. Narra la vera storia di Greville Wynne (Benedict Cumberbatch), ingegnere e uomo d’affari inglese. Greville fu scelto dai servizi segreti britannici – per la facile parlantina e l’abilità comunicativa da venditore – affinché svolgesse la funzione di corriere d’informazioni segrete dall’Unione Sovietica. L’informatore di Greville era il militare Oleg Penkovsky, fermamente contrario all’uso di armi nucleari nella tensione crescente tra URSS e USA. Tutti sospettano di tutti, nessuno pare affidabile.
Il film, diretto con mestiere e capacità di messa in scena da Dominic Cooke (Chesil Beach), è uno spy movie dotato di adrenalina crescente e palpabile. Niente di particolarmente nuovo (dopo il clamoroso Il ponte delle spie di Spielberg è difficile per il genere trovare davvero nuova linfa). Regia e attori riescono però a tenere sempre alta l’attenzione, pur conoscendosi già la fine della Storia. Il trasformista Cumberbatch somiglia sempre più al Dennis Quaid dei tempi d’oro, specie quando – ancora in Occidente – blandisce clienti d’affari in maniera marchiana al golf, mentre quando si ritrova in un carcere russo smagrirà mostruosamente in stile Chris Bale per L’uomo senza sonno. Altrettanto bravo il meno noto Merab Ninidze, un volto che buca lo schermo, nei panni del sovietico Oleg Penkovsky. Più efficace la prima parte scanzonata, quasi una parodia dello spy movie: Greville, che non ha saputo tenere nascosta una scappatella alla moglie, viene tuttavia scelto dai servizi segreti britannici per una missione delicatissima. Una delegazione russa (di commercianti? di spie?) in viaggio a Londra pare un gruppo di ragazzini malcresciuti, ubriachi e barcollanti («La prima dote di una spia: saper reggere l’alcol», ci viene detto). La seconda parte, più drammatica e buia, stride (volutamente) per toni e stile con la prima, ma non è altrettanto spiazzante. Cooke pare dare il meglio di sé quando è meno impegnato a ricostruire la verità storica e più libero di giocare con il genere. Comunque da vedere in sala.