Braquo 4: indietro non si torna

image1A partire dal 12 settembre va in onda su Canal+ la quarta e ultima stagione di Braquo, la fortunata serie creata da Olivier Marchal, che scrisse la prima stagione nel 2009, dirigendone i primi quattro episodi, per poi lasciare la guida a Abdel Raouf Dafri – autore della sceneggiatura originale di Il profeta di Jacques Audiard e dei due film su Mesrine, Nemico pubblico n.1: L’istinto di morte e L’ora della fuga di Jean-François Richet. Braquo è la deformazione colloquiale del termine “braquage” che indica la rapina a mano armata e pensando al passato di Marchal, che prima di essere sceneggiatore, attore e regista, nasce come ispettore di polizia della Brigata criminale di Versailles per poi finire alla sezione antiterrorismo, si capisce immediatamente qual è l’universo di riferimento.

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Eddy Caplan (Jean-Hugues Anglade), Walter Morlighem (Joseph Malerba), Théo Wachevski (Nicolas Duvauchelle) e Roxane Delgado (Karole Rocher) sono quattro poliziotti della SDPJ (Sotto Direzione della Polizia Giudiziaria) del dipartimento Hauts-de-Seine a Parigi che, dopo il suicidio del loro capo, decidono di vendicarlo e di ristabilire il suo onore con metodi non proprio ortodossi. Vengono così presi di mira da Roland Vogel (Geoffroy Thiébaut) dell’IGS (Ispettorato Generale della Polizia Nazionale), che diventa uno dei loro più acerrimi nemici e che, alla fine della prima stagione, grazie anche all’aiuto del procuratore Vanderbeke (Pascal Elso), può cantare vittoria. Come sempre quando si tratta di Marchal i confini tra bene e male non sono netti (basti pensare a 46, Quai des Orfèvres), così come non sono sempre corretti e ammissibili gli espedienti usati dalle cosiddette forze dell’ordine per ottenere informazioni o confessioni. Ma tant’è, impossibile non stare dalla parte di Caplan e della sua squadra, personaggi puri e molto umani (con tutte le contraddizioni e debolezze del caso) che, in un mondo corrotto e amorale, si stagliano come eroi a tutto tondo. Atmosfere cupe, personaggi che parlano poco e con un tono di voce basso, fedeltà agli amici come massimo valore, molte sigarette fumate… Più che in una serie televisiva sembra di stare in un film di Jean-Pierre Melville. Nelle stagioni due e tre il conflitto Caplan-Vogel viene esacerbato, la violenza è all’ordine del giorno così come le missioni (infiltrazioni in gang di ex militari passati al lato oscuro, traffici di cocaina e rag697922200azze organizzati dalla mafia dell’ex Unione Sovietica…) e i colpi di scena non mancano. Della quarta stagione non è trapelato molto. Si sa solo che, questa volta, Caplan e la sua squadra, il gruppo SDPJ92, deve vedersela con il temibile boss turco Baba Aroudj di cui Morlighem ha ucciso l’unico figlio nel corso di un’operazione di polizia. Come se non bastasse c’è di mezzo Joseph Marie Pietri (interpretato dal grande Michel Subor), padrino incontrastato e indisturbato di Marsiglia da oltre quarant’anni. La città portuale fa immediatamente pensare a Fabio Montale, il poliziotto atipico dei romanzi di Jean-Claude Izzo, con cui Caplan ha più di un punto di contatto. Si arriva anche alla resa dei conti con Vogel che, citazione per citazione, ha sepolto viva Roxane, come la sposa di Kill Bill di Quentin Tarantino (che si era già autocitato dirigendo un episodio in due parti di C.S.I, dal titolo Grave Danger, in cui Nick Stokes viene chiuso in una bara). Il cambio di atmosfera nella serie è stato repentino, fin dalla seconda stagione passata dalle mani di Marchal a urlquelle di Dafri che, subito, ha deciso «di iniettarvi uno stile e un delirio che sono diventati il suo marchio di fabbrica». In effetti, «da depressi e lamentosi i protagonisti diventano aggressivi e ultra-vendicativi, con un accenno di sarcasmo». E si confrontano con nemici che non sono più «sudici bastardelli da marciapiede, ma sociopatici e psicopatici a capo di potenti organizzazioni criminali». Forse non ci si poteva spingere oltre ed è per questo che, sono ancora parole di Dafri, «per evitare l’imbarazzante agonia di una stagione di troppo, è stato deciso che era meglio andarsene quando si è all’apice». Dafri è consapevole che, rispetto a quest’ultima stagione, tutti si porranno un’unica domanda, ovvero «in che stato usciranno di scena i nostri eroi? In piedi, stesi o in ginocchio?». Per saperlo, è già iniziato il conto alla rovescia.