Il documentario Kentannos dell’esordiente Víctor Cruz, argentino, non vuole dare risposte ma suggerirle, fotografando la realtà. Lo fa in tre capitoli, ambientati in altrettanti luoghi geografici che sono delle “zone blu” ovvero aree del mondo – in tutto ne sono state identificate cinque – in cui la speranza di vita è notevolmente più alta rispetto alla media mondiale. Si parte da Nikoya, in Costa Rica, che vanta la popolazione più longeva del mondo, dove Panchita, 109 anni, viene accudita dalla nipote Magdalena che di anni ne ha 70. I figli Pablo e Calixto, entrambi ultraottantenni, vengono a trovarla, il secondo che abita più lontano e non ha soldi per la benzina, affronta la distanza in sella alla sua bicicletta. L’ultracentenaria è una forza della natura, dotata di spirito dell’umorismo e di accettazione dei propri limiti («Si finisce per perdere tutto, la forza l’equilibrio, tutto…»). Lei stessa non sa quale sia il segreto per arrivare a un’età così avanzata perché sono misteri più grandi di lei: «Solo Dio lo sa. Che ne so io?». Lo stesso vale per Sarita, 93 anni, che amava ballare e continua a farlo anche se teme di averlo dimenticato così come ha dimenticato «come si dorme con un uomo». E poi c’è Pachito, 98 anni, che nonostante i rimproveri della figlia che vorrebbe impedirglielo, ancora va a cavallo, su Corazón (30 anni) che lui definisce «il bastone della mia vecchiaia». E la sequenza i cui infila gli speroni sulle note di musica western per poi montare a cavallo sono “Pura vida” (che è anche l’augurio che gli viene fatto per strada e che dà il titolo a questa prima parte e riprende un’espressione molto usata in Costa Rica che fa riferimento alla semplicità del vivere bene, in armonia con il mondo).
Potrebbe essere che Nikoya è un paradiso di pace (non ha avuto un esercito per 67 anni) o che c’è un’attenzione particolare per gli anziani come dimostrano le cure di Denis, il poliziotto trentacinquenne del luogo che partecipa alle feste dei bambini vestito da clown e poi impartisce lezioni di ginnastica e di ballo agli anziani. Un vero servizio alla comunità non a caso sulle note dell’esilarante El buen policia di Fernando Usma, nella versione Medellín, che detta le regole per essere un buon poliziotto («se per qualche motivo vai molto di fretta, regala almeno un sorriso» è il consiglio che tutti dovremmo ricordare). Dai monti si passa al mare nel secondo capitolo, ambientato in Sardegna (e che dà il titolo a tutto il film con l’espressione sarda per fare gli auguri). Siamo a Villagrande Strisaili, paesino in provincia di Nuoro dove vive Adolfo, che sta per compiere 93 anni e che ogni mattina, quando ancora è buio, apre la saracinesca del suo bar. Per il suo compleanno organizza una festa a casa con la moglie Delia, ottantenne, «così invitiamo la gente del paese». Non vuole regali, e non sa bene che farsene dei mazzi di fiori che arrivano, ma realizzerà ancora una volta il suo sogno (che il modellino di un aeroplanino ci fa intuire nell’incipit): volare anche se non autorizzato. Il terzo capitolo ci porta invece in Giappone, nell’isola di Kohama, dove un elicottero solca il cielo. Si intitola Ikigai, parola che indica “la ragione per alzarsi la mattina” e fa riferimento allo stile di vita da adottare per trovare lo scopo e vivere felici. Qui conosciamo Tomi, 93 anni, che da 3 anni e tre mesi ha smesso di frequentare il centro ricreativo. Ha perso il figlio e l’elaborazione del lutto ha i suoi tempi.
Ora si sente pronta a prendere parte alle riunioni mensili anche se sa che «sarà difficile sorridere di nuovo». Ritrova così le amiche, in particolare Haru, 98 anni, che continua a tessere come ha fatto in tutta la sua vita, e poco a poco riesce a ritrovare anche il sorriso. Merito della convivialità e forse anche del successo della canzone, e della coreografia, Come on and Dance che diventa in breve tempo virale. «Quando il sole sorge al mattino prendiamoci per mano. La luce della speranza possa raggiungere tutti» è l’augurio di questo gruppo di simpatiche e arzille vecchiette. Kentannos è un inno alla vita, con momenti realmente commoventi anche se non del tutto omogeneo, forse per una scrittura non equamente calibrata nelle tre parti. Se il primo capitolo infatti funziona alla perfezione con l’identificazione di personaggi carismatici (la mamma, la ballerina, il cowboy, ma anche il poliziotto), che pur non avendo lo stesso spazio riescono comunque a imporsi, il secondo risulta forse quello più debole, con un unico personaggio centrale, e sembra più legarsi a tradizioni locali non così pertinenti al racconto (la caccia al cinghiale di un padre cinquantenne e del figlio sedicenne, la morra sarda…). Il terzo capitolo torna a volare alto, con una dimensione corale che lascia il segno.