La meccanica dei corpi è ciò che ne determina la traiettoria, in quel lasso relativamente risicato di tempo che chiamiamo vita. Muoversi lungo il tempo significa seguirla, una traiettoria, quale che sia il nostro ruolo attivo nell’averla tracciata, quali che siano le persone, gli ostacoli, le situazioni a cui andiamo incontro. Se poi finiremo dove ci eravamo prefissi non ci è dato saperlo, quantomeno non in anticipo, ma se il futuro è una previsione incerta il passato è una traccia da leggere per ricostruire la strada percorsa da quell’entità puntiforme chiamata presente. Delle traiettorie della vita lungo il tempo scrive Paolo Zardi nella sua raccolta di racconti il cui titolo dà il là all’incipit del presente articolo: La meccanica dei corpi. Zardi torna a pubblicare con Neo Edizioni (pag.170, euro 15), suo editore d’esordio con cui ha pubblicato diverse raccolte di racconti e due romanzi, tra cui una delle opere più interessanti della letteratura italiana degli ultimi anni, quel XXI Secolo che si può definire un anello di congiunzione estremamente riuscito tra le ossessioni della scrittura nostrana, qui smarcate dai propri aspetti più deleteri, e una visione di respiro più internazionale che riesce a cogliere quella grande cecità, per citare Amitav Ghosh, di cui gli scrittori italiani soffrono riguardo alle tematiche e alle dinamiche della letteratura del mondo globalizzato. Uno Zardi piuttosto diverso da quello che si trova tra le pagine di La meccanica dei corpi, un libro lontano dall’uso generoso dell’immaginazione di XXI Secolo o del pazzesco L’invenzione degli animali, un autore che qui fa un passo indietro e torna a una dimensione maggiormente introspettiva che, pur cogliendo l’essere umano nella sua dimensione di entità collocata nel mondo e non soltanto intenta a guardarsi l’ombelico, in particolar modo in L’era della dignità borghese, racconto che apre la raccolta, si mantiene su un registro maggiormente realistico raccontando le vite di persone comuni indagandone le dinamiche di fronte a situazioni che ne fanno deragliare la traiettoria.
Solo il racconto centrale, per ordine ma forse anche per importanza, Non passa invano il tempo, conserva l’utilizzo del genere fantastico che in qualche modo permette a Zardi di venir fuori con una rappresentazione efficace del tempo come stratificazione, un processo con un funzionamento completamente suo che, oltre a svincolarsi da metafore prese in prestito dalla descrizione dello spazio, ci fa rendere conto di quanto le metafore stesse siano determinanti, come parte del linguaggio, alla costruzione della realtà. La scrittura di Zardi è quella di un autore maturo: versatile ma misurata, il che non vuol dire trattenuta ma dosata diversamente a seconda delle esigenze narrative del singolo racconto, a volte più spartana e con un ritmo più lento e dilatato, a volte fisica e con un crescendo che si fa via via più febbrile, per una varietà nell’esperienza di lettura che tuttavia mantiene forte l’unità di fondo del libro che rimane caratterizzato da una sua identità forte, una voce chiara seppur pulita e scevra di manierismi facili che permette di riconoscere l’autore con certezza in questa sua nuova, matura evoluzione.