Ai piedi del vulcano conosciuto come Monte Rainier si trova Greenloop, una minuscola comunità dotata di tutte le tecnologie più all’avanguardia ed ecosostenibili rifornita da droni e furgoni elettrici senza conducente. Gli abitanti di Greenloop sono un gruppetto di professionisti appartenenti alla borghesia americana colta, per lo più intellettuali e artisti, che si sono trasferiti dalla città per avvicinarsi alla natura, o per lo meno alla percezione piuttosto idealizzata che ne hanno. Una disastrosa eruzione del Monte Rainier, a cui segue una lunga serie di errori di gestione della crisi, lascia gli abitanti di Greenloop isolati dalla civiltà. Quando il gruppo sembra iniziare a organizzarsi per far fronte alla situazione in attesa dei soccorsi, una specie animale la cui esistenza non era mai stata realmente provata fa la sua comparsa spinta dalla necessità di sopravvivenza. La situazione degenera rapidamente in una lotta senza quartiere per la sopravvivenza del più adatto. Il massacro del Monte Rainier (Mondadori, pag.336, euro 19) è un libro attuale e importante. Come nei suoi lavori precedenti, Il manuale per sopravvivere agli zombi e World War Z, Max Brooks usa la fiction, in particolar modo il fantastico, come mezzo per portare avanti un’analisi estremamente lucida e puntuale dei meccanismi della nostra società. Il romanzo tratta di evoluzione, del rapporto che l’uomo ha con la tecnologia e soprattutto con l’ambiente, e con le altre specie che lo abitano, e di come tutto ciò si regga su equilibri tutt’altro che immutabili, al cui variare potremmo essere costretti a riprogettare rapidamente le nostre strategie di sopravvivenza. (In apertura un’immagine del Monte Rainer, stratovulcano dormiente che si trova a 87 km da Seattle).
Ed è esattamente questo che succede alla comunità di Greenloop che, isolata da un sistema complesso dal quale dipende e che per via del proprio rapporto con l’ambiente è temporaneamente saltato, si ritrova a fare un salto evolutivo per sopravvivere a una minaccia che la specie umana non conosceva più da tanto tempo, un predatore naturale che può essere fronteggiato solo recuperando strumenti mentali sepolti sotto strati di tempo e mindset calibrato per funzionare nella società contemporanea. Per raccontare la vicenda, Max Brooks mette in atto la stessa strategia usata per i suoi libri precedenti, simulando realisticamente fonti autentiche per raccontare una vicenda di fiction: dopo un vero e proprio manuale e un’inchiesta giornalistica, Max Brooks racconta lo scontro fra Greenloop e un branco di Sasquatch attraverso il diario di una delle protagoniste, correlato a interviste a esperti e persone a vario titolo coinvolte nel massacro da cui il libro prende il titolo (in tal senso, Il massacro del Monte Rainier è una traduzione imparziale e soprattutto infelice di un titolo che riesce a sintetizzare tutto del libro: Devolution – a first hand account on the Rainier Sasquatch Massacre). Come nei libri precedenti, la scelta di Brooks si rivela estremamente efficace sia nella resa, il romanzo è potente e avvincente, sia nella trasmissione della complessità di una vicenda la cui comprensione per così dire dall’alto, perfetta e senza dubbi o zone d’ombra, è come minimo molto difficile. Il massacro del Monte Rainier è un libro bello ma soprattutto importante, che interroga il mondo su tematiche urgenti, fa letteratura prendendo il polso di nodi profondamente vitali della contemporaneità, ponendosi il problema di elaborare strumenti e strategie di pensiero di un’utilità concreta ai fini di una comprensione lucida e profonda del reale.