Le Rose di Versailles fra tragedia e successo: 50 anni di Lady Oscar

L’immaginario era quello del rococò francese, esaltato in tutta la sua vezzosità dalle pitture dei vari Francois Boucher, Élisabeth Vigée Le Brun o Jean-Honoré Fragonard, mentre l’ispirazione diretta fu la lettura di Maria Antonietta: Una vita involontariamente eroica, la biografia redatta da Stefan Zweig nel 1932. Materia anche troppo colta per un genere, lo shojo manga, all’epoca ancora costretto in un target molto giovane, e per questo far accettare all’editore Shueisha l’idea di quello che da noi sarebbe diventato Lady Oscar, fu impresa alquanto ardua per l’allora ventiquattrenne Riyoko Ikeda. L’autrice aveva comunque le idee chiare e così quell’innovativo feuilleton con protagonisti più adulti di quanto non si fosse abituati nel genere, ambientato nella Francia di Luigi XVI all’alba della Rivoluzione Francese, diventò comunque realtà nel 1972. Oltre che, abbastanza in fretta, anche un fenomeno di costume. La vicenda delle “Rose di Versailles” – come da titolo originale, che riecheggia pure il primo manga breve dell’autrice, Bara Yahiski no Shojo, ovvero “La ragazza della casa delle rose” – è raccontata attraverso più punti di vista. In primis quello di Oscar Françoise de Jarjayes, ultimogenita di una nobile famiglia i cui discendenti maschi avevano sempre ricoperto incarichi di prestigio nel regio esercito della Francia pre-rivoluzionaria, e che per questo viene cresciuta come un uomo e avviata alla carriera militare. Sicuramente il personaggio più celebre e complesso della storia, che segue il solco già tracciato dal “cavaliere col fiocco” di Osamu Tezuka – ovvero La Principessa Zaffiro – ma lo carica di una stratificazione inedita.

 

 

Un’autentica problematicità che, nell’androgina indeterminatezza del design e nel percorso di riscoperta della propria natura e delle sue passioni, al di là dei dettami paterni, si fa metafora della “crescita” della Francia dalle illusioni dell’ancien regime fino ai dettami rivoluzionari. Sarà per questo proprio lei spesso a schierarsi dalla parte del popolo contro i soprusi dei più ricchi, a inneggiare, unica fra i nobili, alle dottrine di Rousseau e, infine, a giocare un ruolo chiave nella Presa della Bastiglia del 14 luglio 1789. Amata dal servitore e compagno di una vita André Grandier, figlio della sua nutrice e di differente casta sociale, innamorata del Conte Hans Axel von Fersen e a sua volta adorata dalla giovane Rosalie, Oscar è diventata ben presto e anzitempo un’icona gender-fluid, tanto da aprire la strada ad altre serie come La rivoluzione di Utena. Non meno importante nel disegno generale è poi Maria Antonietta, diventata Regina di Francia troppo presto, pedina dei più classici giochi di potere fra le nazioni, e che oppone all’androginia di Oscar una sensualità più innocente ma pronunciata, che la conduce tra le braccia del Conte von Fersen. Sebbene la Ikeda si sia documentata a fondo sulla vita della sovrana, il suo ritratto tende a distaccarsi da quello più severo della storiografia, dalle brioche da dare al popolo affamato, per tratteggiare anche in questo caso un personaggio complesso.

 

 

Una donna affamata di vita e incapace di capire il momento storico che sta attraversando, più per incapacità di sottostare alle etichette che per reale superficialità – da accostare idealmente alla Principessa Sissi di Romy Schneider e, ovviamente con il senno di poi, anche alla Marie Antoinette di Sofia Coppola. Altre figure femminili e maschili arricchiscono poi questo universo vorticoso, in cui non mancano i classici meccanismi del romanzo d’avventura, con tanto di intrighi, rapimenti e cavalieri neri, che hanno contributo a elevare il genere dalla caratterizzazione comunque già abbastanza innovativa, ma ancora non abbastanza problematica del primo e già citato Tezuka, per traghettarlo verso una più compiuta maturità. Il successo fu dirompente e portò nel 1974, contestualmente alla fine del manga, alla rappresentazione teatrale presso il prestigioso teatro di Takarazuka, cui fece seguito nel 1979 il progetto di un film Live Action. Dal momento che in Giappone Les parapluies de Cherbourg e Josephine avevano ottenuto un grande successo, il lungometraggio fu affidato a Jacques Demy, nome in grado di garantire già in partenza un’appetibilità internazionale, oltre alla possibilità di girare negli autentici spazi di Versailles. Diventò quindi subito spasmodica l’attesa per la serie animata che nello stesso anno arrivava sul piccolo schermo per lo Studio TMS – quello di Lupin III, con cui Oscar ha goduto pure di un cameo in un episodio speciale.

 

 

 

Ancor più considerando la regia di Tadao Nagahama, l’uomo che aveva infiammato le saghe dei grandi robot introducendo robuste dosi di romanticismo in serie innovative come Vultus 5 e lo splendido General Daimos. Proprio sui robot, in particolare su un’altra serie con risvolti drammatici come Ufo Robot Goldrake, si erano anche fatti le ossa Shingo Araki e Michi Himeno, i cui design eleganti, insieme al dinamismo delle linee cinetiche, sembravano fatti apposta per esaltare la natura androgina di Oscar e l’agilità nei duelli con le spade. Il tutto ridimensionando magari gli eccessivi orpelli del manga originale, con le figure a tratti deformate e le vignette ricche di leziosità. La prima messa in onda non ebbe il successo sperato e la serie si accese davvero nella seconda parte, quando a Tagahama subentrò un maestro del dramma come Osamu Dezaki. Con lui il tratto di Araki e Himeno acquistò una ruvidezza utile a sottolineare il contesto in degrado della Francia popolare pronta alla rivolta, mentre il dramma di Oscar e Maria Antonietta era pronto per scivolare verso la tragedia finale. Il racconto in diretta della fine di un’epoca, con tutte le sue contraddizioni, diventò così un capolavoro della serialità animata giapponese. L’arrivo in Italia nel 1982, nonostante qualche intervento censorio per ridurre la problematicità sessuale del testo e le sigle più sbarazzine, ha trovato forza nell’ottimo doppiaggio, regalando ai quarant’anni di successi nostrani la stessa forza dei cinquanta giapponesi. Le continue edizioni del manga (l’ultima e più lussuosa per J-Pop) hanno completato il tutto, sancendo così la natura universale di una storia e un’icona ormai parte della cultura popolare a cavallo tra le epoche e i continenti.