13 Nov 2009, Paris, France --- France - "Vous aurez le dernier mot" - TV Set --- Image by © Eric Fougere/VIP Images/Corbis

Lo splendore del nero secondo Alain Badiou

Con Lo splendore del nero – Filosofia di un non colore (Ponte alle Grazie, traduzione di Michele Zaffarano, pag.105, euro 12) Alain Badiou prende spunto dai giochi infantili nel buio per analizzare le innumerevoli forme che il nero assume nella nostra cultura e nel nostro immaginario. Il formidabile filosofo e scrittore francese (fra i suoi numerosi e illuminanti lavori citiamo almeno: La Repubblica di Platone, Il risveglio della storia, L’etica. Saggio sulla coscienza del male, Manifesto per la filosofia) ha insegnato all’Università di Parigi VIII Vincennes-Saint Denis ed è oggi direttore dell’istituto di filosofia dell’École Normale. In questo fulminante saggio Badiou considera il nero dell’inchiostro, quello delle fascette sui volti delle riviste porno, il nero dell’ignoto del cosmo e quello doloroso del lutto. Immancabile il capitolo consacrato a Pierre Soulages e al suo Outrenoir (Oltrenero), gigantesca esplorazione delle risorse propriamente pittoriche del nero. Per Badiou: “La perfetta imperfezione del nero, rivelata dalla pittura di Soulages, sta nel fatto che la sua essenza incompiuta è l’incompiutezza”. Per dirla con le parole dello stesso Soulages:”Voi che mi guardate senza vedere niente, continuate!”.

 

Pierre Soulages, Untitled, 2005.

 

Per gentile concessione dell’editore Ponte alle Grazie pubblichiamo un estratto, dal titolo Equivoci dialettici, dal libro di Alain Badiou.

 

 

Equivoci dialettici

 

Gli scienziati se ne fanno garanti: il nero non è un colore e non è presente come tale nell’analisi dello spettro della luce. Il nostro apparato visivo, i nostri cari occhi, non vedono ogni cosa, tutt’altro! Il nostro arcobaleno, questo miracoloso arco teso tra la pioggia e il sole, ha a propria disposizione una tavolozza, vibrante e umida, che va dal rosso al viola. Ignora la gravità dell’infrarosso, ma anche il tono acutissimo dell’ultravioletto. In ogni caso, niente ci autorizza a pensare che il nero rappresenti il parossismo di quanto avviene al di sotto del rosso o che sia, al contrario, ciò che rimane appollaiato al di sopra dell’ultravioletto. No! Il nero è assenza di luce, e quindi assenza di qualsiasi lunghezza d’onda presente nell’analisi di quanto il nero nega. L’assenza è quindi una negazione? Se non c’è luce e non c’è colore, vuol dire che la luce è negata? Vuol dire che il nero ha vinto la propria battaglia contro i colori? Credendolo in grado di negare qualcosa, non stiamo forse sopravvalutando la potenza del nero? No, il nero non nega la luce e non nega i colori. Rappresenta la loro pura mancanza.

 

Il nero è negazione passiva e non fa altro che segnalare l’assenza del proprio opposto: la luce. Ma questa famosa luce, non è forse il puro bianco di cui il nero rappresenta semplicemente la mancanza? Non dovremmo tornare alla fatale coppia di bianco e nero? Stiamo attenti alle trappole del bianco. Gli scienziati se ne fanno garanti: il bianco è un risultato complesso ma mutevole, una combinazione evanescente. Cos’è, infatti, il bianco della luce se non, come mostrano i vari prismi e i vari arcobaleni, la totalità mescolata e indifferenziata di tutti i possibili colori? Il nero è assenza di ogni colore, mentre il bianco è il contaminato mescolarsi di tutti i colori. Ora, «vederne di tutti i colori» è un’espressione giudiziosamente negativa. Ci ricorda che vedere solo il bianco, fantasma della totalità dei colori dissipati nel loro Tutto, non è cosa buona. Il nero è il Nulla dei colori e il bianco è il loro Tutto. La loro essenziale complicità risulta dal fatto che con loro due è il colore del reale a venir meno – come sulle foto in bianco e nero delle donne nude di cui ho parlato prima. Ridotta, come la scrittura di segni neri su un foglio bianco, a un’austera funzione simbolica, l’opposizione tra bianco e nero, a dispetto della propria autorità dialettica, nasconde il fatto che entrambi i termini annullano ciò che compone il molteplice sapore dell’universo visibile.

 

La saggezza popolare ci supplica di «non vedere tutto nero». Sarebbe forse meglio vedere tutto bianco? Alla neve, come alla notte, è l’arcobaleno che manca. Si chiarisce quindi come possa succedere che noi, occidentali al tramonto, diamo per scontato che il colore della morte e del lutto è il nero mentre i cinesi, popolo più antico e destinato a durare più a lungo, pensano che lo sia il bianco. Non fidatevi! Le streghe nere di Macbeth e la Regina delle nevi di Andersen appartengono allo stesso mondo.