La Città è vasta, ma non priva di confini. Un muro che sembra ergersi all’infinito, un precipizio senza fondo sono solo i più strani fra i confini che ne delimitano il perimetro. I suoi abitanti sono uomini provenienti da tutto il mondo, e da diversi momenti nel tempo. Ognuno parla la propria lingua, ma tutti si capiscono. E questo è solo uno dei misteri che caratterizzano la Città. C’è il sole, che si accende e si spegne come una lampada a orari prestabiliti, c’è un sistema singolare di ascesa e discesa della scala sociale. E ci sono una serie di episodi surreali. Tutto questo fa parte di un esperimento le cui finalità sono tutte da chiarire. La città condannata (Carbonio Editore, pag.432, euro 18) è il secondo libro dei fratelli Strugackij, dopo La chiocciola sul pendio, pubblicato sempre da Carbonio Editore, una realtà recente che si distingue per l’alta qualità di un catalogo che propone autori di alto livello, sia contemporanei (Jenni Fagan, Julia Von Lucadou), sia grandi del XX secolo rimasti fin troppo in ombra (Colin Wilson). Ed è proprio con La chiocciola sul pendio, che La città condannata condivide una caratteristica fondamentale: prima ancora che una trama e dei personaggi, i fratelli Strugackij usano la narrazione per costruire un mondo. Il world building e la lingua hanno anzitutto la finalità di costruire un ambiente con le sue regole e le sue dinamiche, un mondo che è quasi una biosfera letteraria in cui domande, simboli e metafore possono gettare le loro radici in profondità. Un mondo fatto di una rete fitta di riferimenti che denota la cultura enciclopedica di Arkadi e Boris Strugackij, sostenuta da una scrittura in grado di non renderli uno sfoggio pedante ma di dar loro vita e significato.
E su questo andare in profondità in maniera sotterranea, mai troppo esplicita o urlata, sta il coraggio di una scrittura in grado di fare domande scomode, potenzialmente dirompenti, un’indagine filosofica e molto politica che in un regime in cui la letteratura e i mezzi di espressione sono guardati a vista potrebbe non essere saggio fare ma che, trattandosi di autentica letteratura, nasce da una necessità profonda che non può essere taciuta, ma può aggirare le maglie del potere procedendo con discrezione e intelligenza. E La città condannata è proprio questo, un dispositivo letterario profondamente intelligente, una narrazione vasta, stratificata e complessa che va interrogata con attenzione per poterne cogliere il potenziale esplosivo sotto forma di dubbio che mina le convinzioni e le fa saltare alla base. Ancora una volta, i fratelli Strugackij si rivelano maestri nell’uso dell’immaginario e della sintesi per creare un’atmosfera densa di pensiero, un libro che come sempre sfida il lettore e lo costringe a faticare per raccogliere una ricchezza importante, sia dal punto di vista estetico, perché La città condannata è il frutto di una ricerca del bello, sia dal punto di vista filosofico. La città condannata ha forza senza tempo dei libri fuori dal tempo, capaci di uscire dal loro contesto storico, di cui restano apertamente e inequivocabilmente figli, per gettare un ponte fra gli autori e il futuro, interrogandosi su temi universali, che riguardano la natura dell’essere umano in quanto tale.