Non è dato sapere chi sia Duaro As Az, né se quanto l’editore ne racconta nella quarta di copertina di Self(ish) – Living, publishing, dying (Prott Edizioni) sia vero oppure no. L’autore viene presentato come scrittore, editor, ghost writer saggista attivo prevalentemente all’estero sotto diversi pseudonimi, un personaggio oscuro e, senza dubbio, in controtendenza con un’industria editoriale, che nel suo libro viene aspramente criticata, che tende a fare degli scrittori un feticcio, a metà fra il brand e la superstar, nella speranza di generare un flusso di cassa grazie alle vendite derivate dallo starpower. Duaro As Az, invece, si nasconde. Sposta il riflettore, anzi lo frantuma con una sassata, e lascia parlare il contenuto. Un contenuto esplosivo, una presa di posizione impubblicabile da un editore che non sia più che convinto delle idee che l’autore porta avanti. Self(ish) è un attacco radicale, sistematico e documentato a una società, la nostra, costruita intorno alla tendenza compulsiva a guardarci l’ombelico, ponendoci artificialmente al centro del mondo in una maniera che ha del patologico. Da Eric Havelock ai veri padri del contemporaneo, Dunning & Krueger spara ad alzo zero con la precisione di un chirurgo, delineando la genesi e lo sviluppo dell’egocentrismo assoluto come cifra della società di oggi per poi passare a una demolizione feroce quanto metodica. Il bersaglio contro cui Duaro As Az si scaglia con maggior durezza è la pratica del self publishing come espressione estrema e onanistica della concezione dell’artista come genio assoluto al di sopra del mondo e dei comuni mortali, ispirato per natura e incompreso per altrui ignoranza, nei fatti un gigantesco, illusorio pompino che milioni di nullità praticano a sé stessi e al loro ristretto circolo di sodali altrettanto incompresi. Duaro As Az è estremo nelle proprie scelte di campo quanto preciso e stringente nell’argomentare, e il risultato dei suoi sforzi è un testo che non lascia scampo, nessuna via d’uscita se non quella di levarsi dalle palle per fare spazio ai contenuti, nell’ottica di un ridimensionamento del sé radicale quanto salutare.