Sinonimi e contrari, come in un lessico della (dis)continuità al quale il discorso della Berlinale attinge nel suo trascorrere dalla appena conclusa 69ma edizione al passaggio di direzione nelle mani di Carlo Chatrian, cui spetterà il compito di celebrare il 70mo anniversario nel segno di un rinnovamento non solo di nome e di facciata, ma si auspica anche di sostanza, di questo bel festival. L’Orso d’Oro che la giuria di Juliette Binoche ha consegnato al magnifico lascia il gusto felice del cinema incipiente a un’edizione che, nel suo insieme, ha davvero dato poco alla scena cinematografica mondiale: con l’Orso d’Argento per la regia a Angela Schanelec per I Was at Home, But, l’Oro al regista israeliano pone sull’ultima edizione firmata Kosslick un sigillo che sembra già consegnare Potsdamer Platz agli orientamenti del suo successore: cinema in avanscoperta sul filmare e sul filmabile, autorialità dallo sguardo determinato e determinante, linee di tendenza d’avanguardia internazionale sia per schemi produttivi che per modulazioni estetiche e attrazioni tematiche. Ignorato uno dei campioni più indicativi dell’era Kosslick, il cinese Wang Quan’an (sostanzialmente nato alla Berlinale con l’Orso d’Oro 2007 al Matrimonio di Tuya), al quale si deve quest’anno il sorprendente Öndög, il podio berlinese confezionato dalla Binoche ha concesso l’argento del Gran Premio della Giuria a François Ozon, altro beniamino kosslickiano, del quale si è molto apprezzato il dramma civile a tema pedoecclesiastico Grâce à Dieu : film dialettico e non declamatorio, in cui è l’avventura del dire a determinare il gioco delle parti, come sempre nel cinema del regista francese. Alla Cina, così ben rappresentata nella selezione ufficiale (e non solo), è toccata la doppietta per le interpretazioni maschile e femminile (Wang Jingchun e Yong Mei, entrambi effettivamente notevoli) di So Long, My Son di Wang Xiaoshuai, bel melodramma familiare che dice in dolente introflessione qualcosa di interessante sulle trasformazioni umane (prima ancora che sociali) imposte negli anni della Rivoluzione Culturale.
Sarà per questo approccio più intimo che il film ha passato il vaglio di quella censura cinese che invece ha in extremis rifiutato il visto a One Second, il nuovo Zhang Yimou, anch’esso ambientato durante la Rivoluzione Culturale. La Berlinale ha parlato ufficialmente di “problemi tecnici”, ma lo statement di forte rammarico pronunciato in apertura della cerimonia di premiazione dalla Binoche dichiarava senza mezzi termini che di questione politica s’è trattato…Non si capisce bene, invece, quali “nuove prospettive” apra, se non quelle dell’esordio registico, un film come System Crasher della tedesca Nora Fingscheidt, al quale è stato comunque assegnato il Premio Alfred Bauer: si tratta di un dramma adolescenziale preconfezionato, dedicato a una ragazzina con disturbi di comportamento, in cui una piccola star del cinema e della televisione germanica dà prova di grandi attitudini recitative tanto quanto l’esordiente regista di accattivanti doti narrative. E se l’Orso d’Argento per il contributo artistico assegnato a Rasmus Videbæk per la fotografia di Out Stealing Horses di Hans Petter Moland premia l’unico aspetto rimarchevole di un film per il resto davvero modesto, l’argento all’Italia per la sceneggiatura de La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi manda soddisfatte le attese consegnate a quello che alla fine è indubbiamente stato uno dei non molti film di autentico valore del festival. Stupisce piuttosto che sia rimasto fuori dalle scelte dei giurati quello che pure sino all’ultimo era parso per svariati motivi uno dei grandi favoriti della competizione, God Exists, Her Name is Petrunya della macedone Teona Strugar Mitevska. Questo a ribadire che l’Orso d’Oro a Synonyms guarda già al futuro della Berlinale. A Dieter Kosslick resta il merito di aver collocato negli ultimi 18 anni il suo festival al posto che gli compete sulla scena internazionale, trascinato da un mercato (l’European Film Market) che ha conquistato terreno e dalla vicinanza dei berlinesi che ne hanno fatto “the world’s biggest audience festival”, come rimarca il comunicato stampa ufficiale di saluto diffuso oggi dalla Berlinale. Ora a Chatrian tocca il compito non facile di ridisegnare una manifestazione che sul pubblico berlinese deve pur sempre restare basata, ma che necessita al contempo di ripensare se stessa in un’ottica meno immediatamente metropolitana e più esplicitamente internazionale.