Di sicuro un festival di resistenza, che al giorno d’oggi è come dire esistenza… Di certo non è nel segno della desistenza, questa Berlinale 72, nonostante abbia sostanzialmente rinunciato a quattro dei suoi undici giorni ufficiali: una settimana a Berlino, dall’apertura del 10 al gala di chiusura del 16 febbraio, durante la quale il festival sarà se stesso, tra delegazioni sul red carpet, stampa, accreditati, il tutto naturalmente in modalità pandemica, quindi con sale al 50% della capienza, mascherine FFP2 obbligatorie ovunque, green pass e tamponi… Il solito calvario che ci crocifigge da due anni a questa parte nella vita normale e in quella dei festival. Poi dal 17 al 20 la Berlinale continuerà con le repliche rivolte al pubblico cittadino, a tenere vivo quel canale fondamentale per un festival metropolitano come questo, tanto più in un anno in cui ha deciso di tenere nel limbo dell’online l’altra anima essenziale alla sua identità, l’European Film Market, che non avrà luogo in presenza. Il ritorno in sala, del resto, era una questione prioritaria per la Berlinale, che nel 2020 aveva dovuto rinunciare allo svolgimento in presenza ritirandosi nello spazio astratto dell’online, tra l’altro con un’edizione niente male quanto a qualità media del film visti. Lo spostamento di date, pure paventato a un certo punto, cozzava con le rigidità del calendario festivaliero globale, e allora la scelta di tenere la barra, rinunciando a un terzo delle date e imponendo un regime di sicurezza, era l’unica possibile. La prospettiva è quindi resistente, nel segno del grande cinema internazionale (inteso come sistema, industria) e anche nel segno del cinema in sala. Lo dice chiaramente il Direttore artistico Carlo Chatrian presentando il programma della Berlinale 72, la terza da lui diretta: “Non si tratta di imporre un modus operandi (in presenza) in contrapposizione a un altro (online), quanto di agire come guardiani di uno spazio a rischio di sparizione”. Esserci alla Berlinale è “dare forza alla funzione sociale che il cinema ha e deve continuare ad avere”, e celebrare quel rito di “vedere un film in un teatro, sentire il respiro, le risate e i sussurri accanto a te”, sia pure mantenendo la corretta distanza sociale aggiunge poi. (In apertura un’immagine dalla conferenza stampa di Mariette Rissenbeek e Carlo Chatrian).
Insomma, ecco la Berlinale 72 narrata come una sorta di barricata a difesa dell’esperienza cinematografica e festivaliera (vedere i film assieme a un pubblico proveniente da ogni parte del mondo) e a protezione di un’industria cinematografica, che ha dovuto e saputo affrontare la pandemia reinventandosi non solo i protocolli sul set, ma anche la capacità di raccontare le sue storie: “Molti film sono stati girati durante la pandemia” e “lasciano trasparire ciò che è accaduto durante l’ultimo anno”, dice Chatrian: “I film della 72ma Berlinale offrono una buona descrizione del modo in questo momento di cambiamenti. Molti film hanno risposto con il potere dell’immaginazione, dell’umorismo, delle emozioni e del confronto fisico, che a volte è appassionato, altre volte violento. Mai come quest’anno abbiamo accolto tante storie d’amore: un amore folle, improbabile, inattesi, tossico”. La selezione è perfettamente in linea con le tradizionali aspettative della Berlinale: maestri ed esordienti a confronto, in un programma che al tradizionale Concorso (18 film da 15 paesi, ben cinque di autori già premiati a Berlino) affianca la competizione parallela di Encounters (15 film da altrettanti paesi, quest’anno con una più marcata presenza di autori noti). E poi ci sono gli eventi di Berlinale Special (altri 15 titoli), le due sezioni collaterali del Panorama (29 film da 33 paesi) e del Forum (36 opere più le 39 del Forum Expanded), e il concorso Generation per il pubblico più giovane, che riserva una qualità tutt’altro che trascurabile, come abbiamo imparato da qualche anno a questa parte.
Un calderone dal quale ci si deve attendere molte sorprese, nel quale spiccano alcuni nomi forti che è facile segnalare: in Concorso ci sono Claire Denis (Avec amour et acharnement), Ulrich Seidl (Rimini), Rithy Panh (Everityng Will Be Ok), Ursula Meier (La ligne), François Ozon (in apertura con Peter von Kant), Andreas Dresden (Rabiyen Kurnaz vs. George W. Bush), Hong Sangsoo (The Novelist Film), Isaki Laquesta (Un año, una noche), Denis Côté (Un été comme ça). Unico italiano in competizione Paolo Taviani, col suo primo film realizzato da solo, Leonora addio, sorta di ritorno al Kaos sulla linea del viaggio delle ceneri di Luigi Pirandello da Roma ad Agrigento. Altro grande Italiano atteso a Berlino è Dario Argento, nella selezione Berlinale Special col suo nuovo film Occhiali neri, prigioniero dell’oscurità tra l’esperienza di una ragazza che ha perso la vista e le ombre che calano sulla terra in un giorno di eclissi solare. Per rimanere in territorio italiano, altre presenze si segnalano in Panorama con Calcinculo di Chiara Bellosi, Una femmina di Francesco Costabile e il documentario di Niccolò Bassetti Nel mio nome, ai quali si aggiunge, nel concorso Generation, il cortometraggio di Lorenzo Tardella Le variabili indipendenti.
Nella competizione di Encounters spiccano invece i francesi Bertrand Bonello (Coma) e Arnaud des Paillères (Journal d’Amérique), oltre alla presenza di Jean-Luc Godard tra gli interpreti di À vendredi, Robinson di Mitra Farahani. In Berlinale Special troveremo Lucrecia Martel (Terminal Norte) e Quentin Dupieux (Incroyable mais vrai), mentre nel concorso Berlinale Short ci sono i 30 minuti di Memories from the Eastern Front firmati da Radu Jude con Adrian Ciofanca. In Panorama si segnalano Tim Sutton (Taurus), Ali Asgari (Until Tomorrow), Alain Guiraudie (Viens, je t’emmène), mentre nel Forum emergono i nuovi film di Derezhan Omirbayev (Poet), Eric Baudelaire (Une fleur à la bouche), Alain Gomis (Rewind and Play), Gustavo Vinagre (Très tigres tristes), Rita Azavedo Gomes (O trìo en mi bemol), James Benning (The United States of America), Thomas Arslan (Das Schöne Tag).