“Non capisco il perché ma vi ringrazio”: con il suo consueto atteggiamento modesto eppure burbero, Hayao Miyazaki ha commentato la decisione del Festival di Cannes di conferire allo Studio Ghibli la Palma d’Oro d’onore nel quarantesimo anniversario della sua fondazione. Lo ha fatto con un video messaggio proiettato durante la cerimonia di premiazione, essendo egli assente dalla Croisette, dove è invece arrivato il figlio Goro insieme al collega e vice presidente degli eventi e delle esibizioni dello Studio, Kenichi Yoda. Un’ambasciata formalmente legata al fatto che Miyazaki figlio è anche il direttore del Museo del Ghibli (oltre che regista de I racconti di Terramare, La collina dei papaveri e della serie Earwig e la strega), ma che ha il sapore di una fiducia finalmente accordata dal Maestro verso l’erede, in passato oggetto di più di una critica per le sue regie. Eppure, lo ricorda il produttore Toshio Suzuki nel suo bel libro I geni dello Studio Ghibli (in Italia per Dynit Edizioni), Goro ha le qualità del leader, sa farsi ascoltare da quello staff che spesso papà Hayao tratta con molta severità e sa unire la passione artistica al pragmatismo di chi deve portare i progetti in porto nei giusti tempi. E lui, divertito e essenziale nelle dichiarazioni, non ha effettivamente mancato di ringraziare proprio i lavoratori che hanno dato concretezza ai molteplici progetti dello Studio nei suoi decenni di febbrile attività, insieme agli appassionati che lo hanno portato in cima al mondo. (In apertura una immagine tratta da Mei to Koneko Basu).
Creato dai già menzionati Hayao Miyazaki e Toshio Suzuki insieme al compianto Isao Takahata, lo Studio Ghibli rappresenta infatti una realtà pressoché unica e irripetibile nel campo dell’animazione (nipponica e non solo), capace di imprimere uno stile personale ai propri lavori, mantenendo al contempo una qualità “artigianale” nell’approccio all’animazione tradizionale (da intendersi, ovviamente, nel senso più nobile del termine) e mantenendo un costante successo commerciale. Delicato e “morbido” nella creazione delle figure (molte delle quali sono diventate iconiche), irrefrenabile nella palingenesi di continui mondi, nel corso della sua storia ha affrontato più prospettive e generi, alternando lavori fantastici (Il castello nel cielo, La città incantata, I racconti di Terramare), opere drammatiche e realistiche (Una tomba per le lucciole, Si alza il vento), elaborazioni in chiave favolistica della morte o delle assenze genitoriali nel momento chiave dell’infanzia (Il ragazzo e l’airone, Il mio vicino Totoro), racconti che affondano le radici nel folklore (La storia della Principessa Splendente, Pom Poko), persino esperimenti al confine con il thriller (Quando c’era Marnie), spaccati storici e di vita vissuta (I sospiri del mio cuore, La collina dei papaveri) fino al documentario (l’inedito The Story of Yanagawa’s Canals di Takahata). Una dimostrazione di vitalità che ha permesso al pubblico di Cannes di vedere quattro cortometraggi di Hayao Miyazaki, selezionati dalla decina solitamente proiettati al solo Museo dello Studio Ghibli: il primo, Mei to Koneko Basu del 2002 riporta gli spettatori nel mondo di Totoro, con la piccola Mei che stringe amicizia con un cucciolo di Gattobus. Insieme a lui parte per un viaggio notturno nei boschi circostanti, in una fantasmagoria di altri esemplari del veicolo felino e creature fantastiche, fra cui proprio l’amato Totoro, simbolo dello Studio. Una rinnovata mitopoiesi, in un universo che a vari livelli continua evidentemente a ispirare la fantasia di Miyazaki padre (che si occupò anche della novelization dell’opera principale, uscita in Italia nel 2002).
Il secondo corto, Yado-sagashi (Alla ricerca di una casa) del 2006, racconta il viaggio di Fuki, zaino in spalla, alla ricerca di una nuova dimora, senza dialoghi e giocando con le onomatopee. Se le atmosfere anche in questo caso tra boschi e creature più o meno fantastiche possono segnare un’ulteriore coerenza con Totoro, il design della protagonista, con le lunghe trecce laterali, rievoca il tanto agognato sogno di Miy azaki di realizzare una trasposizione di Pippi Calzelunghe, mai avvenuta per il veto dell’autrice (e che nel 1972 aveva portato alla realizzazione del progetto in due capitoli Panda! Go Panda!, diretto da Takahata). Decisamente più ampia la prospettiva di Pandane to Tamago-hime (Il lievito e la principessa uovo) del 2010, che racchiude in una dozzina di minuti un compendio di suggestioni miyazakiane, con una creatura-uovo che cerca di sfuggire alle grinfie di una strega dalla voracità insaziabile. Ridotta in schiavitù, la piccola uovo riesce a fuggire grazie all’aiuto di una massa di lievito che ha preso vita, ma il duello con la strega si trasferirà in città. Ancora una volta senza l’ausilio dei dialoghi (ma con una rielaborazione de La follia di Vivaldi a cura del fido musicista Joe Hisaishi), Miyazaki realizza in forma di fiaba una divertente satira anticapitalista (la strega divoratrice che produce la farina macinando le ossa delle sue vittime, in opposizione alla operosa comunità rurale), in quello che appare come il soggetto più compiuto dei quattro.
Infine Kemushi no Boro, del 2018, forse il più noto dei corti in Occidente, grazie alla genesi raccontata nel documentario Never-ending man Hayao Miyazaki, di Kaku Arakawa: l’avventura di un bruco, con il mondo visto a misura d’insetto, è realizzata con un’animazione digitale “mimetica”, perché simula quella tradizionale e permette così all’autore di non recedere dal suo universo fantastico e dalla propria estetica, pur abbracciando le nuove tecnologie: una lezione sicuramente messa a frutto anche per il lavoro poi compiuto con Il ragazzo e l’airone. A corollario dell’esperienza, sempre a Cannes è stato proiettato non a caso proprio il documentario Hayao Miyazaki and the Heron (sempre di Arakawa) che racconta la lavorazione del film. Un omaggio che è insomma anche un tentativo di allargare la prospettiva su una realtà significativa, inquadrata nel suo complesso e che mantiene la sua importanza guardando avanti. Proprio per questo il festival di Cannes ha inteso per la prima volta onorare con la Palma non un solo autore ma un intero Studio, intento ribadito durante la cerimonia dal delegato generale Thierry Fremaux, sul palco insieme alla presidente Iris Knobloch e al regista e giurato Juan Antonio Bayona, che ha consegnato il premio. Il futuro del Ghibli ora non è ancora chiaro (Goro non si è sbottonato circa il nuovo progetto del padre), ma intanto sarà possibile ripercorrere alcune tappe della sua carriera quarantennale: contestualmente all’assegnazione della Palma, Lucky Red ha infatti annunciato un nuovo quartetto di proiezioni estive nei cinema italiani, nell’ambito della sua rassegna Un mondo di sogni animati, stavolta con le pellicole meno viste di Isao Takahata: gli inediti in sala Pioggia di ricordi (dal 4 al 10 luglio), Pom Poko (11-17 luglio), I miei vicini Yamada (18-24 luglio) e il più celebre La storia della Principessa Splendente (25-31 luglio).