La prima impressione che si prova davanti alle opere di Carlos Vermut è quella di un autore perfettamente inserito nel panorama del cinema spagnolo contemporaneo, sebbene completamente differente dallo stesso. Nella sua mano si potrebbe rivedere un certo gusto per il bizzarro e il pop che ha fatto la fortuna di un Alex de La Iglesia, insieme alla predilezione per storie perturbanti degne degli incubi di un Balaguerò o di un Paco Plaza – per il quale aveva effettivamente scritto l’ultimo film, La abuela. E magari anche un certo favore per storie profondamente incentrate sul percorso dei personaggi, articolate preferibilmente in interni, come spesso abbiamo visto anche nelle pellicole di un Almódovar. Eppure tutti questi riferimenti non potrebbero essere più distanti da quello che la visione di un qualsiasi film di Vermut immediatamente trasmette: il senso di una trasfigurazione che crea una realtà propria, in cui gli estremi si toccano, dove la perfezione formale e il rigore delle sceneggiature si sposa a una libertà imprevedibile nell’articolazione del racconto. E dove anche gli attori sembrano diventare altro da sé: complici perfetti di questi meccanismi a orologeria, che sotto i nostri occhi si trasformano in icone capaci di uscire dallo schermo. Difficile dimenticare una Barbara Lennie o una Najwa Nimri dopo aver visto Magical Girl o Chi canterà per te, tanto per citare solamente due nomi. (In apertura un’immagine tratta da Magical Girl).
Perché la verità è che il cinema di Carlos Vermut, quando sembra rassicurarci con gli aspetti che da spettatori smaliziati possiamo ben (ri)conoscere, proprio allora colpisce nel segno con una sincerità disarmante. Non è un cinema di ammiccamenti il suo, pur nella flagranza con cui infarcisce le storie di riferimenti pop, ma un percorso che accompagna lo spettatore (e l’appassionato) in un mondo da sfogliare strato per strato, dove i fumetti, i videogame, il cosplaying e le canzoni sono le chiavi d’accesso alle zone più oscure dell’animo umano. In questo senso, il dolore che i suoi protagonisti provano e le perversioni di cui loro malgrado sono artefici, rappresentano la risposta dell’autore alle rassicurazioni e all’escapismo di tanto cinema attuale. Sono in definitiva fattori che rispecchiano una cifra profondamente umanista della sua opera, tipica di chi, anche quando gioca con i meccanismi del creare racconti, in realtà deposita uno sguardo pessimista sul nostro presente. Così, il fumetto di supereroi in Diamond Flash, suo film d’esordio, diventa il viatico per un racconto di violenze domestiche e figlie rapite da organizzazioni criminali. In Magical Girl, la voglia di esaudire l’ultimo desiderio di una bambina malata innesca un vortice di violenze senza scampo. In Chi canterà per te – il film forse più complesso – l’amnesia di una cantante diventa una sottile riflessione sulle iconografie del successo, il rapporto tra fan e star e sulla proiezione delle frustrazioni nelle vite altrui. E l’ultimo Manticora è un’incredibile e potentissima parabola in cui l’altruismo si trasfigura sfacciatamente nella necessità di soddisfare il proprio egoistico bisogno di uno scopo.
In questo si potrebbe affermare che il cinema di Carlos Vermut è classico, per come problematizza tutti quegli elementi che pure sembrerebbero generare un certo compiacimento stilistico, seguendo la lezione di un Fritz Lang o un Josef von Sternberg – le tonalità quasi sempre plumbee con cui sono dipinti questi “mondi” non fanno che rilanciare effettivamente l’ipotesi di un confronto con il cinema in bianco e nero degli esordi. Ma la verità è che ancora una volta tracciare coordinate finisce per limitare lo spazio d’azione di un autore che parla direttamente alla nostra attualità, anche quando sembra che si chiuda in mondi tutti suoi per spingerci a seguire la vicenda sino alla fine in modo da ricomporne i pezzi. È un po’ quello che in fondo è accaduto finora al suo quartetto d’opere, tanto prezioso quanto generalmente trascurato dalla cinefilia e dalla distribuzione nostrana: chi scrive ha memoria soltanto di un passaggio di Magical Girl in concorso al Festival del Cinema Europeo di Lecce nel 2015, cui va aggiunta l’altrettanto meritoria distribuzione italiana di Chi canterà per te da parte della sempre attenta Movies Inspired. La personale che gli ha dedicato il Torino Film Festival nella sua quarantesima edizione rappresenta perciò un momento importante di scoperta e valutazione di un autore non facilmente ascrivibile ai comodi schemi del cinema di genere o di ricerca, perché capace di realizzare perfettamente entrambi e farli suoi.