Fa così strano leggere della dipartita di Gina Lollobrigida (4 luglio 1927 – 16 gennaio 2023) perché, almeno per gli affezionati e per chi scrive, rappresentava un essere fisicamente immortale, un Highlander sempre impeccabile, dai gioielli esibiti con fierezza («le mie mozzarelle» come li chiamava lei), dagli abiti barocchi che lei stessa ideava e confezionava, dalla pettinatura rimasta eternamente immutata… E si rivela quanto mai azzeccata una frase di Dino De Laurentiis (nonostante fosse rivolta a Moira Orfei): «Chi cambia spesso look, non ha personalità».
Lollobrigida, o meglio la Lollo (inter)nazionale, racchiudeva in sé tutto il glamour che per oltre settant’anni le era stato cucito addosso. Non vuole essere retorica lacrimosa o spicciola, il titolo di “diva” se l’era guadagnato con fatica mantenendo, però, la semplicità del «parla come mangi». Certo, sullo schermo nelle vesti di Bersagliera in Pane, amore e fantasia e Pane, amore e gelosia, di Fata Turchina ne Le avventure di Pinocchio, di Paolina Bonaparte in Venere imperiale o magari quando affianca Yul Brynner, Sean Connery, Rock Hudson, Humphrey Bogart, Frank Sinatra vediamo una Gina irraggiungibile, sogno erotico dalle forme perfette e ammalianti (nel 1955 è guarda caso La donna più bella del mondo, penultima regia di Robert Z. Leonard, in un ruolo che le valse il primo David; gli altri due se li aggiudicò per Venere imperiale – immagine in apertura – e Buonasera, signora Campbell) capace di spaziare tra Alessandro Blasetti e René Clair, tra John Huston e Luigi Comencini, tra King Vidor e Renato Castellani, tra Giulio Questi e Jerzy Skolimowski. Ma è il lato fuori delle luci del set a colpire maggiormente il pubblico che l’ha eletta a «mito senza tempo».
Era perfezionista, ostinata, volitiva, fin dai tempi di Miss Italia (all’epoca si chiamava Bellezza italiana), quando nell’edizione del 1947 arrivò dietro a Gianna Maria Canale e Lucia Bosè – quest’ultima la prendeva scherzosamente in giro per quel terzo posto mai digerito. Cercava sempre di migliorare le battute da pronunciare, di aggiungere qualcosa in più ai personaggi per staccarsi di dosso il continuo appellativo di «maggiorata», di imparare alla perfezione l’inglese e il francese (tolti i primi titoli di carriera, scelse sempre di autodoppiarsi nelle versioni italiane dei film esteri).
Non sempre è riuscita nell’impresa, tant’è che la critica difficilmente la portava in trionfo dopo l’uscita di un suo film. Ma, nonostante questo, restava uno dei volti costantemente presenti su giornali e riviste, amata e bramata dalla gente comune; Rino Barillari disse che non importava dove si trovasse, come fosse vestita o con chi s’accompagnasse: la sua immagine vendeva a prescindere. Era sì diva, ma con quella venatura di umanità che le permetteva di vivere in libertà, senza costrizioni o etichette imposte: «Tutto quello che possiedo, me lo sono guadagnato col mio lavoro e senza l’aiuto di nessuno», precisava sempre con orgoglio; ostentava ricchezze e preziosità ma appena poteva non vedeva l’ora di gustarsi una buona pasta e fagioli o un piatto di amata pastasciutta; diva sì, ma con l’anima pulsante veracità.
Abbandonato il regno di celluloide a inizio anni Settanta, e con una carriera in declino, si reinventò come fotoreporter (intervistò, tra gli altri, Fidel Castro nel 1973) e scultrice, portando le sue opere in giro per il mondo. Alternando comunque ritorni saltuari come a metà anni Ottanta nel serial Falcon Crest o con La romana diretto da Giuseppe Patroni Griffi, da lei già interpretato nell’omonimo film del 1954 di Luigi Zampa, e in cui fu al centro di una storica lite con la co-protagonista Francesca Dellera perché favorevole al doppiaggio.
E poi, ovviamente, c’è lo scontro eterno – vero o presunto – con Sophia Loren, la «Smargiassa», anche se Lollobrigida affermò sempre che furono i giornali di gossip a inventare una rivalità inesistente, tradendosi con frecciatine che ogni tanto scoccava durante ospitate e interviste (come quelle di Silvana Pampanini, genitrice delle maggiorate italiane, che nutrì sempre sarcastica insofferenza verso il duo Lollo-Loren, ribadendo puntualmente quel «le ho inventate io» di baudiana memoria); alcune arrivano da un paio di scherzi telefonici ideati da Rossella Brescia in cui si finge Loren, realizzati nel 2021: «Gina? Sono Sophia», «(ride) Sui giornali ne dici di cotte e di crude, hai bisogno di un suggeritore più cristiano», «Cerchiamo di andare oltre questi contrasti», «Mah, io ti avevo chiamata, ti dovevi truccare e la cosa è durata cinquant’anni. Un po’ tanto per truccarsi, no?».
Non è così curioso constatare che gli scatti che le ritraggono assieme (almeno quelli reperibili sul web) siano solo due: uno datato 1954, l’altro 1988. La curiosità, però, sta tutta nel fatto che in entrambe le immagini una terza persona le “separi”: Yvonne De Carlo nella prima, Michael Jackson nella seconda. La dinamica da prodotto Psycho-Biddy sullo stile di Che fine ha fatto Baby Jane? o di Piano… piano, dolce Carlotta pareva inevitabile: cosa sarebbe accaduto se le due eterne rivali simbolo del tricolore esportato oltreoceano si fossero incontrare sullo stesso set per girare qualcosa che avrebbe sicuramente smosso la morbosità pettegola del pubblico? Ma sorvolando su queste diatribe concepite tra realtà e fantasia, il lato migliore di Lollobrigida era quello ironico.
E spiace non poco, purtroppo, averla vista negli ultimi tempi giostrarsi in talkshow televisivi per mettere a nudo le sue disavventure legali (sentimentali, economiche, famigliari…), culminate nel 2020 con l’apparizione camp al processo contro il suo secondo ex marito a Un giorno in pretura (puntata che l’attrice ha poi fatto rimuovere da RaiPlay). D’accordo che le nuove generazioni abbiano così potuto conoscere il suo nome, a darle un volto, tant’è che le sono stati dedicati meme e gif ad hoc ora incastonati nella memoria storica da reaction per social network. Però, in totale onestà, il giusto e corretto ricordo verso un personaggio dalla caratura irripetibile (è il nostro star system, è la storia del nostro cinema, è patrimonio della nostra cultura) lo lasciamo ad Allacciate le cinture di sicurezza, spettacolo teatrale ideato e interpretato dal Trio Marchesini-Solenghi-Lopez, nella versione del 1989 ripresa dalla Rai: Anna Marchesini nei panni di Lollobrigida fa il suo ingresso in platea per salire sul palcoscenico, nota la vera Lollo seduta tra il pubblico, l’abbraccia affettuosamente e chiosa con: «C’è la mi’ sorella! Siamo sorelle di latte, sciao bella!» e Lollo ride di gusto. Bersagliera, fata, diva, icona, ma sempre con autoironia.