«Un quaderno per l’inverno, testo per due attori in tre scene, racconta la storia di un introverso professore di letteratura che, rientrando in casa, vi trova un ladro, armato di coltello, che vuole da lui qualcosa di molto insolito: è una questione di vita o di morte». Così recita la presentazione dello spettacolo che lo scorso dicembre si è aggiudicato due premi Ubu, quello per il miglior nuovo testo italiano o scrittura drammaturgica, a Armando Pirozzi, e quello per la regia a Massimiliano Civica (che lo aveva già vinto nel 2008 con Il mercante di Venezia e nel 2015 per Alcesti). Abbiamo incontrato il regista.
Nelle note di regia allo spettacolo dici: «Non vogliamo dire qualcosa agli spettatori, ma condividere qualcosa con loro. Qualcosa che sentiamo che ci riguarda, come persone ed esseri umani. Alla fine delle repliche saremo sereni se, in piena onestà, potremo dire: è stato un incontro».
L’idea è proprio che l’evento teatrale è un rito che, in qualche maniera, porta gli spettatori e gli attori a conoscersi un po’ meglio. Piuttosto che voler essere i teatranti e il regista che pensano di poter far capire agli spettatori qualcosa della vita – e quindi di spiegargliela – sono abbastanza convinto che a teatro l’importante è condividere degli argomenti che possano interessare tutti, sia gli attori che gli spettatori, e partendo da questo assunto vedere ciò che ogni volta succede, nel senso che lo spettacolo non si deve mai ripetere uguale, ogni sera in qualche modo deve essere diverso. È chiaro che c’è una struttura per cui lo spettacolo è ripetibile, però, per esempio, non sono fissati i suoni, né le intonazioni, né il modo in cui gli attori dicono la battuta. Questo fa sì che ogni sera lo spettacolo sia diverso e che appunto si possa condividere qualcosa.
Anche Un quaderno per l’inverno parla di un incontro tra due uomini apparentemente agli antipodi…
È la storia di due uomini che, in qualche modo, sono dei personaggi fuori dalla Storia, liminari, un ladro e un professore universitario che ha perso la voglia di insegnare, non crede a nulla. Queste due persone, accomunate da una piccola disgrazia, passano una notte assieme, in qualche modo si perdonano e si vogliono bene e, attraverso il legame che è nato, ognuno riuscirà ad andare avanti nella vita con un pochino più di serenità e di forza. Armando Pirozzi è stato in grado di scrivere una storia veramente molto semplice e che ci riguarda tutti, ovvero il problema di come riuscire a tirare avanti.
Sulla trama non ami rivelare molto…
Effettivamente la trama non la raccontiamo mai un po’ perché è un thriller, ma poi soprattutto perché raccontiamo una storia e non è il modo in cui la raccontiamo a essere importante, ma il cosa raccontiamo. Per questo cerchiamo di non rivelare mai la trama e diciamo solo che tutto parte dal fatto che un professore di letteratura, rientrando in casa, trova un ladro che lo aspetta e lo minaccia con un coltello. Il ladro vuole qualcosa dal professore, ma quello che vuole dal professore, il professore non se lo sarebbe mai aspettato. E da qui parte questa storia, che è poi la loro relazione.
Una storia in cui si ride e ci si emoziona…
La cosa bella della struttura di Armando è che, in qualche modo, riproduce l’andamento della vita. Lo spettacolo ha tantissimi momenti divertenti, come ne ha tantissimi emozionanti, ma sono assolutamente fusi. Nello stesso istante alcune persone ridono e altre sono emozionate perché, appunto come succede nella vita, si ride ai funerali e si piange ai matrimoni…
Parliamo del titolo. Fa venire in mente qualcosa che si tiene da parte per scaldarsi il cuore nei momenti cupi.
Sì, è proprio un piccolo oggetto che ci serve per andare avanti. Naturalmente il “quaderno per l’inverno” è quello dove trascriviamo i ricordi, in cui cerchiamo di fermare la vita e le persone che stanno intorno a noi, a cui vogliamo bene, di cui tentiamo di fermare l’immagine per quando arriverà l’inverno.
È la terza volta che metti scena un testo di Armando Pirozzi. Cosa ti piace di questo drammaturgo?
Armando è in grado di scrivere storie per il teatro. E poi c’è un’altra ragione: molto spesso, quando vado a teatro, vedo sempre un’unica persona, magari nello spettacolo in scena ci sono dieci attori, ma l’unica persona che vedi è il regista che parla o ti spiega qualcosa, ti vuol fare capire come vede lui la vita. Lo stesso succede quando leggo un testo teatrale: spessissimo non vedo dei personaggi, ma vedo sempre una sola persona che è il drammaturgo che parla attraverso tutti i suoi personaggi e dice sempre una cosa sola. Forse per la sua capacità di osservazione e di sintesi, Armando è in grado di darti, per esempio in Un quaderno per l’inverno, due personaggi assolutamente diversi, con idee diverse, visioni diverse sulla vita e far sì che, in qualche modo, abbiano tutti e due ragione, o che comunque ognuno abbia una parte di ragione. Riesce così a riprodurre la polisemanticità della vita, la sua complessità, e per me questo è fondamentale se si deve fare un teatro di condivisione e non un teatro in cui qualcuno dice qualcosa a qualcun altro che deve star lì, in silenzio, a imparare.
Anche per questo la tua regia è in sottrazione? Sempre nelle note di regia dici che «il massimo dell’arte e della tecnica è non far notare l’arte e la tecnica».
Certo. Penso ci sia quello che basti, nel senso che a teatro l’importante è che ci sia una storia valida e gli attori. A teatro io vado a vedere gli attori. Secondo me il teatro rischia di perdere pubblico proprio perché gli attori non vengono messi in grado di esprimere le loro potenzialità. Come spettatore soffro, mi identifico, mi stanno simpatici gli attori, mi devo innamorare di loro. Quindi un teatro che ha un’ottima storia e dei grandi attori è quanto basta e quanto serve. A quel punto il regista deve solo stare attento a non rovinare tutto. Clint Eastwood diceva: «Quando hai una buona storia e dei grandi attori solo tu puoi sbagliare».
Peraltro tu hai scelto due grandi attori, a loro volta anche autori: Alberto Astorri (con la compagnia AstorriTintinelli) e Luca Zacchini (con Gli Omini).
Sì, Alberto e Luca sono anche registi e drammaturghi. Parto da un’idea molto semplice: credo che ognuno di noi abbia il piacere e il desiderio di incontrare qualcuno che lo fa migliorare sia umanamente sia professionalmente, che alza il tuo livello, ti costringe a essere migliore e ti fa scoprire cose nuove. Per questo cerco di circondarmi di persone che come minimo valgano come me, ma molto spesso molto di più. Credo sia una visione della vita e del teatro formalmente giusta quella di dire che io per primo, come regista, voglio fare un’esperienza, capire e conoscere qualcosa in più e per farlo devo avere degli attori che siano essi stessi degli artisti.
I due Premi Ubu allo spettacolo sono una bella soddisfazione…
Mi ha fatto molto piacere che il premio sia venuto per uno spettacolo di drammaturgia contemporanea, quindi per un testo che non ha riferimenti storici, perché magari è più facile vincere l’Ubu se ti appoggi a un testo classico e invece è stato premiato un autore contemporaneo. E poi il premio alla regia…
Prima hai citato Eastwood e qualche critico ha parlato di personaggi che ricordano quelli di Kaurismäki. Il cinema in qualche modo ti ispira?
No, credo che cinema e teatro non c’entrino nulla. Nel cinema puoi fare un’opera d’arte, in teatro no perché quello che molti registi non accettano è che il teatro è un rito, tanto per capirci è come una partita di calcio. In una partita di calcio tu sei l’allenatore, puoi stabilire degli schemi, motivare i giocatori, ma poi la partita spesso è diversa, non rispetta i tuoi schemi ed è bello per quello. Il cinema mi piace proprio come opera d’arte, sono un appassionato, però credo che al cinema sia perseguibile un’autorialità del regista, mentre nel teatro, se uno è una persona onesta, non può perseguire l’autorialità del regista perché è un rito, si chiama “spettacolo dal vivo” e qualcosa vorrà dire. Quindi basta fare spettacoli “dal morto”, spettacoli che sono opere d’arte che si riproducono identiche che ci sia il pubblico o che non ci sia. Il teatro è sempre diverso come minimo perché ogni sera il pubblico cambia.
Foto di Duccio Burberi
Milano Teatro Fontana 8-11 febbraio
Napoli Teatro Bellini 14-18 febbraio
Castel Maggiore (BO) Teatro Biagi D’Antona 24 febbraio 2018