Di lui si dice che fosse l’attore prediletto da Ingmar Bergman, che l’ha lanciato e l’ha scelto per ben undici dei suoi film, ma Max von Sydow, morto a 90 anni nella sua casa di Parigi (era nato a Lund il 10 aprile del 1929), è stato un attore generoso ma difficile da definire, per via di una carriera lunga e instancabile, che l’ha visto interpretare i personaggi più diversi, fino a farsi conoscere dai più giovani per il suo ruolo nella serie Game of Thrones. Da Gesù in La più grande storia mai raccontata di George Stevens (1965) a padre Merrin in l’Esorcista di William Friedkin (1975). Due film non casuali, perché rappresentano gli esordi ad Hollywood di un attore che si era formato al Royal Theater Dramatic di Stoccolma e che era entrato subito nella compagnia del teatro di Malmo a metà degli anni Cinquanta. Su quel palcoscenico incontra Bergman, diventando parte attiva di quella imponente trasformazione delle arti sceniche che il regista svedese avrebbe operato. Quattordici realizzati insieme: Il settimo sigillo, Il posto delle fragole, Il volto, La fontana della vergine, L’ora del lupo, Come in uno specchio, per dirne solo alcuni. Max von Sydow è alter ego di Bergman e al tempo stesso il volto e il corpo da plasmare e interrogare nei lunghi piani fissi, nei silenzi, nelle allegorie dirompenti. Il cavaliere in fuga dalla morte Antonius Block, Vogler l’illusionista, il padre vendicativo e pieno d’ira, il pittore Johan Borg… Di quella stagione disse: “Ricordo con grande nostalgia quei giorni con Bergman. Eravamo consapevoli che i film a cui davamo vita sarebbero diventati molto importanti e il lavoro era intriso di significato”.
Alla ribalta del cinema mondiale, fuori dalla Svezia, colpisce soprattutto la sua espressione perentoria ed enigmatica, l’imponenza, la voce tonante. Come giunto da un altro pianeta, da un’altra dimensione, riesce a mettere tutta la gravità dei ruoli interpretati in patria in film diversi per valore e per idea di cinema, sempre restando fedele alla scuola della sottrazione e dell’essenzialità del segno. Tra i 163 film cui prese parte, si contano non pochi capolavori e opere in cui la sua stessa presenza ha regalato un’aura di maggior prestigio e rigore e serietà. Quella del suo volto, certo, ma anche e soprattutto della coerenza delle sue scelte. È una spia ne I tre giorni del Condor di Sydney Pollack, geniale opposto di Robert Redford, è l’ufficiale nazista in Fuga per la vittoria di John Huston, il bergmaniano Woody Allen lo vuole in Hannah e le sue sorelle, Wim Wenders e David Lynch lo lo impongono indimenticabile sui set rarefatto e stranianti di Fino alla fine del mondo e Dune. Per non parlare di Steven Spielberg che gli affida un ruolo decisivo in Minority Report e in GGG, vecchio saggio e testimone di un tempo passato che Max von Sydow incarnava dentro e fuori dal set. Simbolo di un cinema instancabile e di una curiosità mai paga per le sottilissime forme espressive dell’uomo. Dei numerosi interpreti che nella storia del cinema hanno ricoperto anche, a loro modo, un ruolo autoriale, Max von Sydow è probabilmente il più eclettico. L’ultimo suo film è Echoes of the Past di Dimitrios Katsantonis, ancora inedito.