A Venezia81 – Horizon: An American Saga – Capitolo 2 di Kevin Costner: controcampo americano

Il Capitolo 2 è quello delle donne: sta idealmente lì, accanto a Martha Edwards in Sentieri selvaggi, sulla soglia della sua casa in Texas, intenta a scrutare l’orizzonte con la mano sulla fronte mentre, nella luce accecante del deserto, Ethan incede lento a cavallo… Sì, il Capitolo 2 di Horizon: An American Saga (presentato a Venezia81 e al momento nel limbo delle decisioni Warner) sta indubbiamente con le donne della Frontiera, al loro fianco mentre guardano in faccia gli uomini, la loro stolida (pre)potenza, le loro armi, la loro prudenza e la loro arroganza, il loro senso dell’onore e i loro inganni. E se Kevin Costner scrive il secondo movimento della sua saga fondativa al femminile è per elaborare il controcampo del machismo western, il versante silenzioso dell’epica sul quale pure si basa la sua ratio fondamentale (come John Ford, per l’appunto, sapeva bene…). Le storie che qui si raccontano sono quelle del pragmatismo di donne che sanno rinunciare, imparano a definire se stesse per sopravvivere e affermarsi: riprendere possesso della casa bruciata dagli indiani, sposare il cognato, riequilibrare la propria vita e quella delle figlie. Ma anche prendere in mano il proprio destino, affermare se stesse: figlie che si ribellano e prendono la loro strada, spose rimaste sole che sottostanno alla violenza di uomini mostruosi e trovano la forza di liberarsi nella solidarietà delle altre donne, ragazze che trovano la capacità di creare una connessione che oggi chiameremmo interculturale (con i nativi, con gli asiatici)… Intanto, chi procede per Horizon sta nel flusso di una corsa che non può fermarsi, anche se si è preso il cammino sbagliato e ciò che è giusto e non giusto non farebbe differenza, se non ci fossero le donne a vedere e giudicare e correggere gli errori.

 

 
Tutti aspetti che, chi in America ha accusato Horizon di misoginia e razzismo, evidentemente non ha saputo o voluto valutare…Il controcampo tra il fermarsi e l’avanzare è del resto l’altro marcatore della saga costneriana: se il Capitolo 1 era quello del movimento, della spinta in avanti o della fuga, al massimo dello spostamento laterale per conquistare il migliore piazzamento sulla scena, il Capitolo 2 sta fermo, ma non perché la meta sia raggiunta – Horizon è ancora una chimera, un punto su una mappa incerta. È che qui si sta nell’equilibrio dell’attesa, nel flusso di eventi che strutturano le relazioni, si pianificano le cose e stabilizzano i giochi. Bisogna fare base, bisogna fermarsi e costruire, anche se questo significa rinunciare ai sentimenti veri (come la vedova Kittredge capisce bene nel momento in cui accetta di accasarsi con il cognato). Qui si tratta solo di dare una struttura alle cose e, del resto, il movimento rischia di essere falso, sbagliato, come scopre la carovana in marcia per Horizon, che pensa di seguire il fiume ma invece sta solo costeggiando un ruscello. Hayes Ellison, l’horse trader interpretato da Kevin Costner, è l’emblema di questa condizione: sempre più spirito di un non-tempo e un non-luogo che è l’America in divenire, presenza che incorpora in sé la saga, la sua statuaria inconsistenza, la sua miracolosa mancanza di un centro: con il suo silenzio, l’understatement introflesso, la tendenza a stare per sé che però lo porta fatalmente a occuparsi di altri o a essere sollecitato, istigato, provocato dagli altri, Ellison è una figura in prestito per definire la scena, le relazioni, le posizioni reciproche.

 

 
La sua ubiquità è quasi astratta, funzione di una progettualità della saga talmente ampia, ramificata, che sembra quasi destrutturata, priva di una sua coerenza, senza che questo disturbi la capacità di stare nel film, nella sua ampiezza assoluta. L’Hayes Ellison di Kevin Costner è la presenza concreta, pesante diffusa, diciamo pure baricentrica di Horizon, tanto quanto il Silas Pickering di Giovanni Ribisi, il ricco proprietario terriero che sta costruendo la città di Horizon, è una sorta di fantasma che incombe su tutto nella sua assenza, dalla sua lontananza. Il controcampo tra i due diventa sempre più evidente nella loro ricercata estraneità alla scena che però si traduce in sostanziale centralità: Pickerin sta arrivando, Ellison è già lì, entrambi sono ubiqui e incombenti, ma il secondo agisce, è costretto a sporcarsi le mani e la coscienza, mentre il primo sta fuori dal gioco che ha creato. Ellison va a cavallo, Pickering sta arrivando in treno e viaggia in prima classe…