“La lingua del cuore è come una goccia di miele, si posa sulle labbra, ti appartene”. L’orgoglio del popolo basco viene raccontato e esaltato da Eugène Green nel suo ultimo film Faire la parole, un viaggio alla ricerca di chi ha deciso di parlare la sua lingua del cuore o, semplicemente, non può farne a meno. Un popolo per anni privato della parola, erroneamente accusato di terrorismo nei confronti dello stato spagnolo perché fortemente identitario e legato alle proprie radici. Una comunità che sa bene cosa significhi essere diversi e spesso incomprensibili agli occhi del mondo. Girato nelle tre province del Nord, in Navarra e in Guipuzkoa mostra le nuove generazioni basche che incontrano le precedenti. E’ un’opera a metà fra il film di narrazione e il documentario, in cui la notevole presa di coscienza, da parte dei ragazzi, di essere testimoni e custodi della cultura di un popolo, libera una potenza espressiva devastante e allo stesso tempo molto toccante. Dalla fine del franchismo ai giorno d’oggi, il percorso della lingua e della cultura basche viene presentato al pubblico attraverso la voce narrante di Joseba Sarrionandia, il più importante scrittore basco vivente. La sua voce vibra e racconta ciò che è stata la resistenza di un popolo pronto a proteggere la sua identità.
Nell’opera di Green nessuna denuncia, nessun proclamo, solo la voglia di raccontare il mondo di una comunità ignorata da molti, ma più che mai viva e resistente. L’incontro fra le generazioni viene restituito dai primi piani dei protagonisti che si succedono intervallandosi fra loro, cosi come si intervallano le storie di vita: se le vecchie generazioni hanno mantenuto viva la cultura con dolore, perdite umane e dovendo fronteggiare continuamentel’astio dello stato centrale spagnolo, i giovani si ritrovano in un ambiente più sereno. All’assenza di campo-controcampo, tecnica che regala alle opere di Green molta profondità, sopperisce il ritmo serrato dei primi piani che permette alle parole di liberare tutta la loro espressività. La parola e il linguaggio ricoprono un posto particolare anche in questa opera, dove la lingua basca, la più antica dell’Europa, l’unica utilizzata nel film, riesce naturalmente a incuriosire il pubblico. Il film non viene accompagnato dalle musiche barocche e raffinate solite delle opere del regista francese, ma da melodie interamente basche e spesso suonate da Ortzi, uno dei ragazzi protagonisti. Uno spazio rilevante viene attribuito al ”bertso”, una sorta di rap basco, una storia in versi che il popolo basco tramanda da secoli e che trasforma i giovani dell’opera di Green in moderni troubadours. Le panoramiche della natura selvaggia basca restituiscono allo spettatore il sentimento di apertura che la comunità vuole dimostrare e la speranza che il mondo possa accorgersi della sua ricchezza culturale.