Geometrico, limpido, simmetrico e paradigmatico: L’accusa di Yvan Attal

L’accusa o Les choses humaines, come recita l’originale e il romanzo dal quale il film è tratto, è un film limpido come un cristallo, geometrico e simmetrico come un manufatto rinascimentale e giudiziariamente paradigmatico come un testo di diritto processuale penale. In questa perfezione quasi raggiunta, per trovare il classico pelo nell’uovo, ciò che difetta in questa copia anastatica della realtà, raffigurata e rappresentata nelle sue pieghe invisibili, perfino in quei limiti della sua irrappresentabilità – merito che va ascritto a tutti, ma principalmente a chi il film lo ha scritto – è il fatto che è assai raro vedere nelle aule giudiziarie una tale dissezione dell’evento, un tale scandaglio delle volontà, una indagine così immersa dentro i fatti e i sentimenti e i caratteri dei protagonisti. Se ne deduce, quindi, che L’accusa non è un legal thriller, ma forse non è nemmeno un legal movie. Il film di Yvan Attal, regista israeliano-francese, è tratto dal romanzo di Karine Tuil, lavora sulla percezione dei fatti, sulla differenza della percezione dei fatti in funzione dell’appartenenza di genere e culturale, è un film sulla percezione della morale e, pertanto, è un film che prova a raccontare l’errore dell’umana percezione. È per questa ragione che appare fuorviante il titolo italiano, che d’istinto gli attribuisce una categorizzazione che il film non possiede ed invece Les choses humaines resta perfettamente aderente all’anima intima del film che pone al centro della sua indagine, di certo la violenza dello stupro, come violenza al suo grado massimo nei confronti dell’altro/a, ma soprattutto mette al centro, attraverso una radiografia minuta e dettagliata, la differente sensibilità dei due protagonisti, ma ancora più a fondo procede in questo scandaglio sulla personalità di Mila che è la vittima dello stupro o almeno quello che lei percepisce come stupro.

 

 

È ora di sintetizzare i fatti. Alexander Farel (Ben Attal) è un brillante studente di 22 anni. Studia ingegneria ambientale all’Università di Stanford negli Stati Uniti. I suoi genitori Jean (Pierre Arditi) è un consumato giornalista televisivo molto noto e apprezzato, che sa come gira il mondo e conosce le donne, tanto da cambiarle di frequente e di solito molto più giovani di lui, separato da Claire (Charlotte Gainsbourg), saggista e impegnata intellettuale femminista. Claire convive con Adam (Mathieu Kassowitz), professore universitario separato dalla moglie Valérie (Audrey Dana), ebrea praticante. Alexander torna per due giorni in Francia per partecipare alla cerimonia della consegna della Legione d’onore al padre. La sera va a cena dalla madre dove conosce Adam e Mila (Suzanne Jouannet), figlia di Adam. Usciranno insieme per andare ad una festa organizzata dagli ex compagni di scuola di Alexander. Il mattino successivo la Polizia andrà a casa di Alexander per arrestarlo con l’accusa di stupro. Il racconto diventa poi quello del lungo e articolato processo. La ricerca della o delle verità si riflette nei due capitoli iniziali del film quel “Lui” e quel “Lei” con i quali si generalizzano i temi che, al tempo stesso, riguardano i due protagonisti, ma appartengono ad una più ampia platea.  Se una cosa il film sa bene porre al centro della sua ricerca è il fatto, che diventa puramente culturale, della percezione del sesso, della sua pratica in cui la condivisione non solo dell’atto, ma della sua più intima pratica e del rapporto tra le parti, anche nel suo profilo di approccio e relazionale, diventa questione estranea al sesso strettamente inteso, per diventare forma di dominazione e di simmetrica sottomissione. La non accettazione di questo ruolo da parte del dominato, diventa violenza alla persona, diventa stupro, trasformandosi dunque in reato. Se le cose del sesso sono un gioco in cui i due partecipanti hanno ciascuno un ruolo, le regole vanno condivise e non sono generalmente e diffusamente applicabili.

 

 

 

Alexander che è un bravo ragazzo, studioso, gentile, educato e colto, questa differenza non l’ha capita. Alexander pensa di potere procedere nelle cose che riguardano la sessualità come con Yasmine, la sua precedente ragazza appartenente al suo stesso mondo, in fondo elitario, ma colto, con la quale il sesso veniva consumato secondo una condivisa attribuzione di ruoli, nella quale si capisce bene chi era il dominante e accompagnato da un linguaggio esplicito, che potrebbe apparire, essere percepito come rozzo e volgare, ma che appartiene invece alle regole tacitamente stabilite di comune accordo ed esplicitamente accettate. Alexander tutto questo, nonostante la sua preparazione e le sue capacità non l’ha capita e pensa di replicare con Mila questi comportamenti. Ma Mila non fa parte di quel mondo, ma non solo perché è figlia di una famiglia in cui la fede religiosa conta moltissimo soprattutto per sua madre ebrea ortodossa, ma perché proviene da un altro lato del mondo e non è né questione di età, né di censo, ma piuttosto di cultura, di formazione. Alexander si dimentica di accettare e di rispettare la cultura della sua occasionale partner, soprattutto si dimentica di considerare che non tutti si è disposti al sesso in assenza di una profonda relazione amorosa.

 

 

L’accusa si afferma, dunque, come un filtro di analisi, come un racconto a suo modo morale, un trasparente film sull’etica delle relazioni, sul rispetto delle sensibilità e sulle trappole di un solidarismo solo culturale e intellettuale, ma che sfugge di mano quando gli eventi accadono improvvisi e imprevedibili. La candida Claire alla notizia della denuncia di Mila contro suo figlio, rivolta ad Adam gli dirà: Gli rovinerà la vita! E Adam di rimando: Di chi stiamo parlando, Claire? Chi sarà rovinato a vita? Claire cosciente della orribile affermazione si mette una mano davanti alla bocca quasi per trattenere, ma troppo tardi, quelle parole così dissonanti dalla sua vita. Si potrebbe parlare per ore davanti a questo film così compatto e consequenziale nel suo svolgersi, così strutturalmente avvincente tra le due verità, giudiziaria e fattuale che il film ci rivela in parallelo, in quella congiunzione assicurata da un perfetto contraddittorio tra le parti davanti al banco del giudice e da qui il magnifico equilibrio del film. Attal e i suoi attori, tutti, nessuno escluso, non si limitano ad un bagno di realtà e di spietato realismo per un film che vuole dissezionare il corpo di quel sociale così complicato, ma provano a rispondere alle contraddizioni di una complessità dominata da un ineliminabile egoismo, che annulla, progressivamente, i sempre più invisibili precetti morali.