Il potere del sesso: Regra 34 di Julia Murat, Pardo d’Oro a Locarno75

Asservire/servire, sottomettere/giacere, dire/contraddire: Regra 34 di Julia Murat, Pardo d’Oro a Locarno 75, è un film che si colloca sulla linea di separazione tra gli opposti del potere, sullo spazio che demarca la differenza nella contiguità. Il simbolo grafico dello slash può essere utile, del resto, a connotare proprio quella Regola 34 cui fa riferimento il titolo, una massima secondo la quale nell’universo del web “se una cosa esiste, esiste anche la sua versione porno”. Che poi è una sorta di corollario della funzionalità oppositiva di internet, dell’inalienabile istinto della rete a sovvertire le regole, a liberare la realtà dalla sua materialità. Quello di Julia Murat, però, non è un film su Internet, anche se la sua protagonista Simone proprio sul web trova lo spazio per definire il suo rapporto col mondo in una versione alternativa a quella che pratica nella realtà: l’incipit ce la mostra gioiosamente in azione su una hot line porno a pagamento, ma non si tratta che della prassi parallela di una quotidianità che invece la vede studentessa di legge, impegnata in un master sulla violenza domestica subita dalle donne. Non che i due spazi esistenziali siano oppositivi, perché la cosa interessante dello schema su cui la regista brasiliana costruisce il suo film è proprio che questa giovane donna è parimenti se stessa sia in una versione che nell’altra: esattamente come enunciato dalla Regola 34, la Simone che si esibisce liberamente nella hot line è la versione porno della Simone che studia da avvocato per difendere le donne dalla sottomissione domestica.

 

 

Il film segue questo parallelismo con coerenza, affidandosi nella prima parte a un montaggio quasi paratattico, in cui ogni inquadratura gestisce uno spazio in sé definito e le relazioni tra Simone e gli altri personaggi sembrano delimitate da una contiguità che non trova reale dialogo. Quasi una ricaduta esistenziale della comunicazione e della relazione dettata dalla rete, con le webcam che aprono finestre distanti e parallele sull’intimità, esposta da Julia Murat con una lucida intelligenza un po’ didascalica, che rischia di infettare il suo film. In realtà la deriva cui si abbandona sempre più consapevolmente la protagonista libera Regra 34 e lo trasforma in un’opera che spinge la lucidità della sua analisi storica e sociale del Brasile in uno spazio più viscerale, che lavora sulla dimensione inconscia della relazione. Un’amica infatti accende in Simone la fantasia della sessualità sadomaso, che finisce con l’incarnare per lei lo spazio istintuale in cui quella violenza che analizza e contro cui combatte in quanto donna avvocato, si libera nel fantasma di una violenza subita e/o imposta come scelta di relazione intima. E’ nel suo progressivo spingersi nell’accettazione e nella ricerca di una identità sadomasochistica che la percezione della realtà di Simone diventa sempre più chiara e consapevole: la paura e la sottomissione, strumenti di potere per eccellenza, diventano prassi di una libertà che definisce una realtà alternativa.

 

 

È proprio in questa dimensione che Julia Murat colloca la sua riflessione sulla storia sociale e politica del Brasile, a partire dal colonialismo: la sottomissione, la repressione, la liberazione sono tracce di un processo storico che vede il popolo asservito a una relazione di potere in cui la perdizione storica è generata proprio dalla mancanza di quella libertà data dalla reciprocità del consenso. La parabola che Julia Murat descrive è insomma quella di una donna che cerca di invertire di segno quella paura e quella sottomissione contro cui combatte, per liberarle in una dimensione consapevole e dunque identitaria. La soglia sulla quale il film alla fine si ferma, quella porta chiusa alla quale la violenza dominante e priva di regole sta bussando, è il limite di una coscienza dinnanzi al quale, sembra voler dire la regista, il popolo (brasiliano) si ferma. La tentazione della sottomissione, l’accettazione del dominio è una vertigine che storicamente appartiene all’uomo. Tutto questo è gestito da Julia Murat in un film che persegue una lucidità teorica molto netta, trovata ora con virulenta permeabilità ora con più rigida decisione, ai limiti del didascalico. Regra 34 è un’opera indubbiamente potente, che però rischia di restare rigida dinnanzi alle posizioni che enuncia, bloccata proprio su quella impasse del finale, sul volto incerto, determinato, desiderante e spaventato della protagonista.