Il dissenso tra il presente e la memoria ai margini della Cina contemporanea, questione di visioni lucide e sofferenti di una realtà nel cui declino si scivola immancabilmente. Tre ritratti della generazione cinese post 1989 (l’anno di Tienanmen, ovviamente) per un film che s’intitola The First Shot, a richiamare il primo sparo rivoluzionario del 10 ottobre 1911. È l’opera con la quale Yan Cheng e Federico Francioni (già autori del notevole corto Tomba del tuffatore) si sono diplomati lo scorso anno al Centro Sperimentale di Cinematografia, dipartimento documentario. Un trittico cinese, che distribuisce sui tre ritratti la visione di una generazione che è cresciuta al di là delle ideologie, nella pragmatica visione di un presente continuo in cui calare la propria identità, trovandosi spiazzati di fronte al concetto stesso di memoria, ovvero passato, ritorno del tempo e al tempo. Il primo dei tre, Peng Haitao, è un artista e blogger: vive in un loft ai margini di Pechino e fatica a definire se stesso, la sua attività finalizzata a dare spazio al ricordo, alla memoria, dal momento che la censura gli oscura ogni post che faccia riferimento alla rivoluzione. Lui vive con due gatti e osserva le ruspe abbattere le case dei quartieri popolari, mentre i poveracci recuperano i mattoni salvabili per andare a ricostruire altrove. Lo stesso scenario che il secondo protagonista, Liu Yixing, osserva dall’alto del moderno appartamento in cui è andato a vivere dopo aver trascorso alcuni anni in Canada: musicista e artista visuale, lui all’esperienza di vedere le cose cambiare rapidamente ci è abituato, anzi confessa di scalpitare di fronte alla persistenza delle cose, alla prassi della memoria, e dissemina nei suoi video visioni di edifici in trasparenza, come radiografie di una quotidianità architettata per essere un flusso. Infine You Yiyi, la più giovane dei tre (classe 1992), che torna nel villaggio del padre per ritrovarsi schiantata contro un’estraneità che la fa soffrire, la lascia fuori posto e la induce infine a confessare che lei no, non ha messo nessun passato nel suo futuro: “Ti sembra molto egoista?”, chiede…
Il trittico scorre su una fortissima resistenza emotiva delle immagini, che non concedono mai la vibrazione di un sentimento, eppure finiscono con l’incidere in profondità ogni momento messo in scena. L’approccio è selettivo e dinamico, procede innescando nell’esperienza dei protagonisti la tensione di una relazione che ne descriva la sostanziale solitudine, lo scollamento emotivo al quale sono condannati o che forse semplicemente prediligono. La più permeabile dei tre, You Yiyi, è anche quella destinata non a caso al confronto più doloroso col proprio passato rimosso: il suo uscire dallo spazio urbano per ritrovare il villaggio di campagna in cui era cresciuto il padre, si traduce nell’azzeramento volontario delle radici. Il film interseca dunque lo spazio e il tempo dei protagonisti in una prassi che sa rendere interiore l’osservazione: la sezione chiaroscurale della scena espone la stratificazione emotiva dei protagonisti, lasciandoli in ombra per definirne il dissidio senza esporlo. L’excipit di ognuno dei tre ritratti descrive del resto il dissenso tra passato e futuro nel quale si dibatte il loro presente: il primo si disperde, nudo, nell’infinita profondità di campo della Grande Muraglia, il secondo si spinge a nuoto nel canale di Pechino, la terza invece incede verso lo scenario urbano virtuale di una parete video. Lo sguardo resta infine fisso su uno di quei ralenti d’ambiente in cui il tempo è evidentemente manipolato dagli autori: il riflesso di una pozzanghera, forse residuo di quella grandine che spazza ogni cosa nell’incipit.