Da una parte un destino segnato fin dalla nascita e dall’altra un’esistenza che prova a trovare la sua strada. È su questa opposizione che si fonda Kuessipan di Myriam Verreault tratta dall’omonimo romanzo di Naomi Fontaine, che confirma la sceneggiatura con la regista. Un’opposizione che nasce da un profondo legame, una vera e propria simbiosi che lega fin da bambine Mikuan (Sharon Fontaine Ishpatao) e Shaniss (Yamie Grégoire), due Innu – antica popolazione autonoma del Québec – che vivono nella riserva di Uashat nell’enclave di Sept-Îles con una situazione familiare molto diversa: mentre la prima ha una famiglia su cui contare, la seconda vive con una madre problematica di cui si deve occupare chiedendo spesso aiuto all’amica. Un legame profondo che spinge la piccola Mikuan a compiere un lungo viaggio, segnando punto di partenza e di arrivo su una mappa, per riabbracciare l’amica quando questa viene affidata temporaneamente alla zia. Di fatto Shaniss è in qualche modo stata adottata dalla famiglia di Mikuan e le due sono come sorelle: «Non ci separeremo mai» si promettono.
A distanza di qualche anno ritroviamo Shaniss giovane madre con un compagno violento e sempre nei guai, mentre Mikuan continua a studiare e frequenta un laboratorio di scrittura creativa dove inizia una relazione con Francis (Étienne Galloy), un ragazzo esterno alla riserva che rappresenta la sua via di fuga dal mondo chiuso e dalle aspettative che la famiglia, ma soprattutto l’amica, ha verso di lei. Mikuan non vuole rinunciare al suo sogno d’amore («Hai perso l’orgoglio, loro ci rubano la terra», la rimprovera l’amica) difendendolo con le unghie e con i denti e annunciando che si iscriverà con Francis all’università di Québec e i due andranno a vivere insieme. Questa presa di posizione causa l’inevitabile rottura con Shaniss che ha “scelto” una vita diversa e sembra destinata a ripercorrere gli errori della madre («Farai la fine di tua madre», le rimprovera Mikuan dopo che l’amica ha deciso di non denunciare il compagno che l’ha picchiata e lei ribatte: «Smetti di decidere per me, non ne posso più. Non ho bisogno di te»). Mikuan compirà da sola il suo percorso di emancipazione perché Francis sopraffatto dal cambio di vita non riesce a stare al passo («Veniamo da due mondi completamente diversi… Ho provato ma è molto difficile», le dirà lasciandola in un momento per lei terribile). La ragazza riuscirà a pacificarsi con la sua storia, trasformando l’orgoglio becero («Sei troppo orgogliosa» le aveva fatto notare il fratello dopo una lite tra le due amiche) in un sentimento di cui andare fiera: «L’orgoglio è una cosa che costruisce. Il mio orgoglio siamo noi».
Un coming of age potente, che ha fatto incetta di premi nei Festival, a metà strada tra fiction e documentario. Non solo tutti gli attori sono non professionisti, ma la stessa regista che già aveva realizzato sugli adolescenti quebecchesi un bellissimo film À l’ouest de Pluton, visto al Torino Film Festival 2008, ha realizzato vari documentari (Ma tribu, c’est ma vie e The Devil’s Toy Remix). Kuessipan, come il libro evita i luoghi comuni spesso associati a culture che non si conoscono nel profondo. In un’intervista Naomi Fontaine, nata nella comunità innu di Uashat, ha rivelato la sua diffidenza iniziale a trasformare il suo romanzo in un film proprio perché «quando le persone si interessano alle nostre culture, ho sempre l’impressione che cerchino il folklore o i cliché o addirittura fantasmi che nulla hanno a che vedere con la realtà. Nella mia scrittura, mi allontano volontariamente da tutto questo. Ciò di cui ho voglia di scrivere è la faccia delle persone, così com’è, a Uashat. Con tutta la sua sofferenza, ma anche con tutta la sua bellezza». E questo avviene anche nel film che affronta tante questioni: la terra confiscata («gestiamo noi il nostro territorio», emerge nelle discussioni a scuola), lo sfruttamento delle sue risorse da parte dei bianchi, le tradizioni (la madre di Mikuan prepara orecchini e monili con le perline), i problemi noti (l’alcolismo), senza mai calcare la mano, con una giusta misura che lascia il segno.