La solitudine del corpo: Toxic di Saule Bliuvaite, Pardo d’Oro a Locarno77

La solitudine dell’adolescenza vissuta come solitudine del proprio corpo: è l’approccio che la lituana Saule Bliuvaite adotta per raccontare i 13 anni di Maria, la protagonista di Toxic (Akipleša), l’opera prima con cui ha conquistato il Pardo d’Oro a Locarno77. Lo scenario è quello offerto da una livida provincia lituana, ai margini di una città industriale che non lascia spazio alla fantasia, tra genitori sconfitti, nonni che ricordano valori ormai inutili e un pugno di giovani e adolescenti che azzerano le scarse prospettive rimaste. Maria ha un paio di gambe troppo lunghe, una t-shirt di Marilyn Manson troppo grande, lunghi capelli e un’aria introflessa che la rende poco simpatica alle compagne. L’unica con cui stringe amicizia (dopo un furioso litigio per un jeans rubato) è Kristina, più minuta di lei e più immediatamente carina, di sicuro più volitiva. Entrambe non hanno una madre: Maria vive con la nonna da quando la mamma ha deciso di farsi una vita tutta sua, Kristina vive col padre, un buonuomo che le vuole bene e sta cercando di rifarsi una vita con una nuova compagna. Il punto di fuga è offerto da una scuola per modelle che promette di partecipare a selezioni internazionali e intanto irregimenta le ragazze in modelli di bellezza canonizzati, mentre spilla soldi per servizi fotografici e corsi di preparazione che blandiscono le loro aspirazioni. Kristina ha troppi centimetri in vita e cerca in tutti i modi di perdere peso, Maria non ha i soldi per pagarsi il servizio fotografico e tentenna all’offerta di un’amica di procurarseli in casa di un anziano. I ragazzi sono un valore marginale, se possibile ancor più fragili delle ragazze, più ingenui e inutili con il loro acerbo sentimentalismo o con i loro banali festini di alcol e droghe.

 

 

Toxic è tutto un rimestare in questo scenario vagamente dolce e vagamente triste, frutto di un approccio dichiaratamente autobiografico di Saule Bliuvaite, che ha composto questo quadro di adolescenza in perdita d’identità partendo dalle proprie memorie. La linea narrativa offerta dalla scuola per modelle serve alla regista per costruire un discorso sullo scollamento tra corpo e identità nell’adolescenza, quando i cambiamenti fisici vengono percepiti con un sentimento di disunione da se stessi e le pressioni dei modelli di bellezza imposti dalla società finiscono con l’interferire con il processo di crescita. Ma tutto questo resta una traccia che Toxic segue insistendo sul ritratto psicologico delle protagoniste e sullo stigma comportamentale del mondo adulto: nulla di troppo nuovo, va detto, nella rappresentazione di una adolescenza marcescente e di uno scenario sociale periferico illividito. Qua e là c’è qualche cedimento didascalico e qualche banalità narrativa. Si impone di più, sicuramente, lo sguardo che il film getta su questa realtà, la capacità di comporre quadri visivamente intensi e profondi, dotati di una densità quasi pittorica che slarga con aperture visive inattese lo scenario occluso e previsto in cui il film è calato. Frutto dell’intesa tra Saule Bliuvaite e Vytautas Katkus, filmmaker lituano che qui serve da direttore della fotografia, di cui aspettiamo l’esordio dopo aver visto i suoi tre corti sia a Cannes che a Venezia.

 

 

Toxic di Saule Bliuvaite sul sito di Locarno77