In occasione dell’uscita in sala di Metropolis, splendidamente restaurato dalla Cineteca di Bologna, proponiamo stralci da un’intervista pubblicata nel 1975 su Focus on Film, curata da Gene D. Philips e intitolata Fritz Lang Remembers. Un lungo e appassionato dialogo nel quale il regista racconta la sua vita e la sua arte.
Il suo viaggio negli Stati Uniti le fornì l’ispirazione per Metropolis, non è vero?
Io ed Erich Pommer fummo considerati i nemici stranieri, e per qualche ragione non potemmo scendere a New York il giorno in cui la nave arrivò al porto, ma dovemmo attendere il giorno dopo per sbarcare. Ricordo quella sera di avere osservato dalla nave le principali strade di New York illuminate a giorno da migliaia di insegne luminose. Era uno spettacolo del tutto nuovo ed insolito ai miei occhi, e cercai di immaginarmi questa enorme città, piena di grattacieli, proiettata nel futuro. E così cominciai a pensare a Metropolis.
Metropolis accrebbe la sua reputazione, sia in Germania che all’estero…
Nonostante la lavorazione di questo film mi avesse particolarmente entusiasmato, il risultato mideluse molto. Quando guardai il film dopo averlo ultimato, pensai che non sarebbe mai stato possibile modificare l’assetto sociale di un paese con un messaggio di questo tipo: il cuore deve essere il mediatore fra la testa (il capitale) e le mani (il lavoro). Ero del tutto convinto che non si sarebbero potuto risolvere le contraddizioni sociali con un messaggio simile. Molti anni dopo, negli anni ’50, un industriale che aveva visto il mio film scrisse sul Washington Post, di avere aderito in pieno alla teoria del cuore come mediatore. Ma questo non valse a farmi cambiare idea in proposito.
Ancora oggi i giovani lo considerano un film molto impegnato.
Negli ultimi anni della mia vita ho cercato di stabilire un punto di contatto con i giovani per riuscire a comprenderne le idee. Tutti, senza distinzioni, odiano il sistema, e quando ho provato a chiedere cosa li disgustasse maggiormente nella società computerizzata mi hanno risposto che non ha un cuore. Personalmente sono convinto che il messaggio di Metropolis sia troppo idealistico. Come può un uomo che possiede tutto capire le esigenze di un uomo che non ha niente?
Si dice che Kubrick le abbia reso omaggio intitolando il suo film 2001, visto che Metropolis era ambientato nel 2000.
Penso che non ne avesse bisogno dal momento che non ho mai fatto cenno ad un anno preciso nel mio film. In ogni caso, una scena del film che non mi ha mai convinto è quella dove l’operaio deve muovere continuamente le lancette di un enorme quadrante. Ho subito pensato di avere dato un’immagine troppo stupida e semplicistica di un uomo che lavora in una disumanizzante società meccanizzata. Alcuni anni dopo, guardando la televisione, vidi gli astronauti seduti nel loro abitacolo lavorare freneticamente con i quadranti. Proprio come l’operaio del mio film. La cosa mi ha davvero sorpreso e fatto riflettere.