C’era una volta l’erede al trono di Francia che, rimasto orfano, a soli 11 anni è costretto a sposarsi con la cugina spagnola di appena quattro anni. Affinché la pace tra i due Paesi sia garantita, dopo un periodo di sanguinose guerre, anche l’erede al trono di Spagna, fratello della bambina, deve sposare una principessa francese, figlia del reggente. Sembra una favola, ma è storia come ben racconta Lo scambio di principesse di Marc Dugain, basato sull’omonimo romanzo di Chantal Thomas, che firma la sceneggiatura con il regista. Dopo lunghi anni di guerra tra Francia e Spagna e durante la reggenza di Filippo d’Orléans (Olivier Gourmet), Luigi XV (Igor van Dessel) accetta di fidanzarsi con l’Infanta Maria Vittoria (Juliane Lepoureau), figlia di Filippo V (Lambert Wilson) e di Elisabetta Farnese (Maya Sansa). Per cementare la pace la figlia stessa del duca di Orléans, la ribelle Luisa Elisabetta (Anamaria Vartolomei), principessa di Montpensier, non può opporsi alle nozze con l’impacciato Luigi (Kacey Mottet Klein), principe di Asturias.
Non eroine di fiabe che aspettano di essere salvate dal principe azzurro e che hanno fatto sognare e continuano a far sognare le bambine anche se con qualche evoluzione (ultime in ordine di tempo le principesse Anna e Elsa di Frozen), le principesse del film di Duguain sono semplice pedine di un gioco politico in cui non hanno voce in capitolo e altro non sono, per dirla con la Principessa Palatina (Andréa Ferréol), che «carne da sposare», «fatte per perpetuare una dinastia» perché se «l’opera di un re è facoltativa, la discendenza è obbligatoria». Bambine e bambini che devono piegarsi alla ragion di Stato, totalmente manipolati da genitori anaffettivi (nel caso dei due spagnoli) che non prendono in considerazione le ragioni del cuore (all’opposizione di Luigi, diventato re dopo l’abdicazione del padre, contrario a ripudiare la moglie che ama, la madre risponde che «Non è mai stata una questione di amore»). Oppure manipolati da consiglieri e infantili ministri che cercano il loro tornaconto, come nel caso di Luigi XV (che alla maggior età, ovvero al compimento dei 13 anni, può accedere al trono), verso cui le pressioni per avere presto una discendenza hanno la meglio: vista la tenera età dell’Infanta, il re accetta di rispedirla dai suoi genitori nonostante la bambina si sia calata perfettamente nel ruolo dimostrando un attaccamento sincero per il re. Ma non può far alto che prendere atto della decisione con un laconico commento: «Il re sbaglia. Un giorno diventerò grande» (e così sarà visto che diventerà reggente del Portogallo, ma questa è un’altra storia). In questa storia sono proprio i quattro giovani a dimostrare una qualche forma di sensatezza, ma gli eventi non sono propizi.
Il regista Dugain sembra aver accolto l’insegnamento di Spielberg scegliendo di stare il più possibile ad altezza di bambino, creando un ambiente intimo, curatissimo dal punto di vista formale, e concentrandosi sulle relazioni tra i personaggi. Sono veri e propri quadri che si animano – ispirazione per il direttore della fotografia Gilles Porte sono stati in particolare i ritratti di famiglia di Thomas Gainsborough – quelli a cui dà vita come nell’inquadratura iniziale delle donne che dormono: la duchessa di Ventadour (Catherine Mouchet), governante di Luigi XV, che difende il bambino alla notizia della morte del padre o come la bellissima sequenza sull’isola dei Fagiani, frontiera naturale tra Francia e Spagna, in cui avviene il vero e proprio scambio che dà il titolo al film: quasi un balletto per una spogliazione che passa anche dall’abbandono degli abiti indossati, con i rispettivi cortigiani che si fronteggiano e si inchinano per tornare sui loro passi dopo aver lasciato le due fanciulle a varcare la soglia che delimita il nuovo universo di appartenenza. Un mondo in rovina in cui la vita e la morte convivono: nella consapevolezza rispetto alla sua storia personale di Luigi XV («Se non fossero morti tutti, sarei solo nipote, figlio, fratello del re»); nel lungo viaggio verso la Spagna affrontato da Louisa Elisabetta di Borbone-Orléans si cerca di evitare la peste a est e il vaiolo a ovest (ma il vaiolo riuscirà a insinuarsi a corte); nell’insegnamento del nevrastenico e cattolicissimo Filippo V alla figlioletta non c’è spazio per la speranza («Imparate che la vita e la morte sono la stessa cosa»); nell’augurio che si fa la stessa Infanta prima di addormentarsi in cui dimostra di aver interiorizzato gli insegnamenti paterni («Mi chiedo se non sarebbe meglio morissi adesso per non tentare il diavolo»). Giochi di potere che raccontano di fallimenti e della fine di un mondo solo apparentemente privilegiato che getta una luce sull’attualità e sui tanti matrimoni combinati che ancora sussistono in molti Paesi.