Sulla terra leggeri sono i passi di chi non ha storia, chi è libero dalla (forza di) gravità dei ricordi, naviga a vista senza il peso della memoria. Nel suo primo lungometraggio, in Concorso a Locarno77, Sara Fgaier cerca questa leggerezza per il suo protagonista, Gian (Andrea Renzi, sempre quietamente profondo), ma non la cerca come una liberazione, piuttosto come una narrazione da ricostruire recuperando il sentimento dei vissuti, prima ancora del loro senso esistenziale. Gian, un maturo professore universitario, è un uomo interrotto sul crinale di un lutto che condivide con la figlia Miriam, sospeso su un dolore che sta occultando nell’amnesia in cui si è chiuso: i diari scritti in gioventù, che la figlia gli ha restituito, sono la traccia di un cammino trascorso, che l’uomo segue affidandosi al languore di ricordi che sembrano non appartenergli. Una storia d’amore giovanile, una notte in Tunisia con Leila, il sentimento di completezza che dura il tempo di un momento prima di una separazione, il ricongiungimento mancato di un appuntamento tradito dalla mancanza di coraggio della ragazza, poi il seguito di una vita tutta da scoprire…
La leggerezza del film di Sara Fgaier è tutta in questa scelta di navigare nel flusso di una memoria che ha perso la rotta, insistendo su un cammino riparatorio che unisce i pezzi usando il collante di un sentimento nuovo, differente, perché affidato alla distanza di una contemplazione delle tracce perdute. Il dialogo tra luce e ombra che visivamente tiene insieme Sulla terra leggeri, il suo contemplare il buio della casa, della stanza chiusa in cui Gian ha collocato l’amnesia, attraverso la rievocazione della solarità piena, calda, assoluta che definisce il tempo passato – è il discorso che la regista costruisce sulla distanza che separa i ricordi dalla memoria. La linea narrativa che sviluppa la traccia dei vissuti in eventi concreti, che segnano e definiscono la cronologia esistenziale è quella che la regista offre al suo protagonista, scegliendo una focalizzazione prevalentemente soggettiva, insistendo sullo svelamento dinamico e progressivo del passato che Gian scopre lentamente, riappropriandosi del proprio dolore e dunque della felicità di ciò che è stato. Sara Fgaier sceglie di raccontare la storia di una resurrezione, piuttosto che quella dell’elaborazione di un dolore, e lo fa opponendo il valore lieve ma pieno del ricordare al peso greve della morte.
L’orfismo evocato in tanti momenti nell’insistenza sul gioco tra l’ombra delle grotte che smargina sulla luce della scogliera, diventa la traccia portante di un’opera che cerca una via d’uscita dalla morte voltandosi indietro a osservare l’amore perduto, per rivederlo, ritrovarlo e portarlo con sé nella vita. Si va Sulla terra leggeri proprio perché i ricordi sono un bagaglio lieve, la mappa di un percorso che libera i giorni, li fa librare nell’astrazione appartenuta ai momenti, ai sentimenti, alle emozioni. In questo senso le tracce offerte dai materiali d’archivio, su cui Sara Fgaier insiste quasi a sigillo del percorso autoriale che ben conosciamo, dialogano proprio con la leggerezza aerea di una memoria impersonale, alla quale il film sembra voler fare appello per evocare un tempo astratto, la materia di un passato archiviato, catalogato, definito. Si resta un po’ spiazzati, va detto, in cerca di un aggancio emotivo e strutturale per queste immagini antiche che sembrano dialogare con la storia di Gian sulla linea logica del restauro, della preservazione, della restituzione di un immaginario aereo, che si libra in cielo assieme a Leila e ai suoi voli da pilota. Per il resto, Sulla terra leggeri è un film caldo e accogliente, che cerca una limpidezza concreta nella sua liminarità romantica, qua e là un po’ leziosa, ma cercata e trovata nel piacere di un filmare pieno, classico, assistito dalle armonie musicali di Carlo Crivelli e dalla fotografia di Alberto Fasulo.