È da poco uscito nelle sale italiane l’esordio alla regia del giovanissimo regista di origine francese Elie Grappe intitolato Olga e vincitore del Premio SACD alla 74esima edizione del Festival di Cannes. Il film racconta la storia della promettente ginnasta ucraina Olga (interpretata da Anastasia Budiashkina), intenzionata ad allenarsi il più duramente possibile per poter accedere ai Campionati Europei. Quando però le inchieste giornalistiche della madre in merito alla cosiddetta “rivoluzione della dignità” avvenuta in piazza Majdan a Kiev, contraria al governo del presidente Yanukovych, mettono a rischio la vita della protagonista, quest’ultima è obbligata a trasferirsi in Svizzera dove entrerà nella nazionale del Paese. Tuttavia, l’integrazione si rivelerà più complicata del previsto, data la lontananza dalla madre e l’inserimento in una famiglia, quella del padre, praticamente sconosciuta.
Ciò che di questa pellicola colpisce, prima di tutto, è senza dubbio l’intrinseca attenzione del regista nel delineare e ritrarre, con grazia e delicatezza, tanto la complessa situazione personale della protagonista, di fatto profuga in una terra a lei estranea, quanto l’altrettanto instabile condizione politica dell’Ucraina, divisa tra i sostenitori del governo in auge e gli oppositori della resistenza. In questo senso, è tracciata con efficacia una sottile connessione interna tra le vicende interiori della protagonista, sperduta e confusa (almeno all’inizio), tra sentimenti di rabbia, frustrazione e profonda sofferenza, e quelle dell’Ucraina, che tormentano costantemente Olga in ogni momento della sua “nuova vita”. Anche verso la fine del film, infatti, quando una ragazza ucraina sua rivale, per protesta, decide di astenersi dalla gara, Olga si sente sopraffatta e combattuta tra il desiderio di raggiungerla a sostegno del proprio Paese e la consapevolezza di dover proseguire la sfida.
Di fatto, il perenne senso di smarrimento e solitudine della ragazza è messo in scena con estremo realismo, se si guarda anche al recente conflitto tra Russa e Ucraina, ma soprattutto alle condizioni attuali dei migranti, alla continua ricerca di un loro posto nel mondo. Anche a livello visuale, la pellicola si impegna a rispecchiare queste emozioni in particolare attraverso una bassa saturazione dei colori e una scarsa luminosità delle immagini fotografiche, che contribuiscono a creare un generale effetto di disagio e un’atmosfera opaca e tetra. A ogni modo, il parallelismo a cui si è accennato prima, non fa che preludere, in ultima istanza, a uno scenario di speranza, in cui Olga e i suoi amici si sono ormai abituati alla realtà di fatto, con la consapevolezza di aver imparato a convivere con essa a discapito della miseria e delle rovine lasciate dai conflitti.