Nel tennis puoi guardare il giocatore o puoi guardare la palla. Che è come dire che puoi guardare il gesto o il suo effetto, l’azione o il suo risultato. Si tratta di decidere tra la prospettiva e il punto di vista: la profondità di campo, nel tennis, è definita dal dritto lungolinea, mentre la volèe alta di rovescio (per Panatta e i suoi amici la “veronica”) compete la sfera del genio che si fa gesto plastico, che vola alto e insegue il desiderio… Ecco, Challengers sembra più una “veronica” di un lungolinea, con quel suo finale – niente spoiler, tranquilli – che si gioca a rete e fuoricampo, dove per campo si intende il rettangolo dell’inquadratura, non quello della partita di tennis che stanno portando a termine i due amici di sempre e rivali in amore Patrick e Art. Nella scansione tra games, set e partita, il tempo indefinito dell’agonismo tennistico diventa per Luca Guadagnino il tempo infinito di una narrazione che scandisce il rapporto tennistico tra campo e controcampo: come la palla che viene servita e ribattuta, la storia di Patrick e Art è raccontata come un palleggio, tra flashback e presente, a definire il qui e ora dei due ex amici d’infanzia, coppia tennistica promettente che nel passaggio al singolare ha trovato l’agonismo e nella scoperta dell’amore la rivalità. Tra i due c’è infatti Tashi, anche lei un tempo promessa del tennis femminile, una macchina da guerra della racchetta che inciampa in un passo falso e compromette un legamento, dunque abbandona il campo e passa nel fuoricampo della vita, diventando trainer e moglie di Art. Ora che il loro matrimonio è in crisi, perché Art non crede più nel tennis, Tashi cerca di restituirgli la motivazione adatta iscrivendolo come testa di serie al torneo del circuito challenger di New Rochelle. O forse il suo è solo il tentativo di mettere a segno un passante lungolinea, che cerca la profondità del campo nella possibilità di ritrovare Patrick e far ritrovare a Art il suo vecchio amico e rivale. Il quale intanto aspetta ignaro ai margini di una carriera sprecata, che avrebbe potuto dargli di più se lui non si fosse perso per amicizia e per amore…
Nel tennis come nelle sophisticated comedy due sono una coppia e tre una folla: questo Guadagnino lo sa bene, se ha avuto l’idea di girare un (b)romance nel campo (e controcampo) tennistico: Challengers è un magnifico dispositivo geometrico, in cui la triangolazione tra sguardo e desiderio oscilla sulla linea orizzontale dello spettatore, ovvero lungo la linea d’osservazione di Tashi, che in tribuna laterale guarda la partita della vita dei suoi due uomini, da una parte e dall’altra del campo seguendo più i colpi dei rivali che la palla. E se questa è la storia di un triangolo d’amore, lo è nella misura in cui rende plastica e concreta la tensione dello sguardo terzo, che sta fuori partita eppure incide sul suo esito… Challengers è un film sulla funzione desiderante dello spettatore, sull’incontro tra il suo desiderio di essere in partita, sulla sua proiezione nella sfera d’azione del campo. È il film in cui Guadagnino adopera il dispositivo cinematografico e lo traduce in plot, lo innesca nella triangolazione tra lo sguardo e l’azione che produce il desiderio, l’attrazione, la funzione cooperativa dell’emozione nella dinamica comunicativa in atto, nel palleggio che drammatizza l’agonismo nel perimetro del campo (tennistico).
Uscendo poi dalla struttura teorica, Challengers è un tagliente melodramma trasformato da Guadagnino in narrazione agonistica, dispendio d’amore e di passione nella geometria di dritti e rovesci, di psicologie a confronto, di gesti atletici che nascondono le pulsioni del cuore. Tashi è un catalizzatore di passione che agisce sul gioco ingenuo dei due corpi in campo, Patrick e Art, sulla loro unità infranta. C’è la stessa lucidità teorica di Io sono l’amore, in questo nuovo film di Guadagnino, la stessa precisione del gesto filmico incarnata nella volumetria drammaturgica offerta dallo spazio, dalla relazione tra le figure, l’azione e la scena. La partita si gioca tutta nella triangolazione tra Zendaya, Josh O’Connor e Mike Faist, come a dire tra strategia, cuore e agonismo: i tre elementi naturali del tennis…