Con un titolo che è insieme dichiarazione poetica e constatazione esistenziale, di uno stare in scena che è già e sempre uno stare al mondo, vocazione/missione (il documentario si apre non a caso sullo squillo di una chiamata) e provocazione/ammissione (di costante impreparazione, necessaria incompiutezza, ricerca continua, fragilità che genera bellezza), il documentario di Greta De Lazzaris e Jacopo Quadri racconta un tratto specifico del percorso creativo e personale di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini: il loro progetto crepuscolare, triste e vivissimo, dedicato a Ginger e Fred di Federico Fellini, poi sfociato nello spettacolo Avremo ancora l’occasione di ballare insieme e nel collaterale Sovrapposizioni, con i due autori/attori che si guardano allo specchio e tracciano una sorta di bilancio provvisorio.
Allo stesso tempo, con grande rispetto e leggerezza, una distanza amorosa e uno sguardo sapientemente laterale, mai didascalico, spesso anzi acutamente dislocato, questa messa in quadro coglie, al di là del momento particolarissimo (il lockdown, una stanchezza sociale e perfino un affanno artistico del duo, il matrimonio maturo e felice di Daria con Attilio Scarpellini), il senso di un tragitto con diversi compagni di viaggio, l’essenza di un metodo di lavoro fatto di osservazione e restituzione, sintonie e schermaglie, che ci vuole grazia e delicatezza a ritrarre nel suo essere fatto, in ultima analisi, di “quasi niente”, pedinando la lunga genesi drammaturgica fra Toulouse e Roma, tavolino, sala prove e dietro le quinte di un processo che è parte decisiva più che aspetto preliminare. Così il clima di un connubio umano e professionale è raccontato con la tenerezza ironica di una romantic comedy, si apre sull’evento pubblico/privato di un matrimonio vero (sul trucco e i preparativi che lo precedono) e su quello traumatico e di cesura di un trasloco, come segni di una crisi di spaesamento, fantasma terminale e occasione di altrove, tratto d’instabilità e fonte di fertili disorientamenti, che disegnano lo scarto sottile fra lo sposarsi e lo spostarsi.
L’attesa della prima (dai 150 giorni ai secondi prima di entrare in scena) è allora il vero darsi dello spettacolo nella sua indefinitezza, nei suoi vicoli cechi, nell’apprendere a muoversi e a vedere, nel cercare in ogni momento che cosa dire, che cosa mostrare, come fare, attraverso esercizio paziente sensibile e coraggioso, della propria vita una danza. Ecco un invito sotteso, anche a noi (a)spettatori in sala, che proviamo a vedere, a risvegliare uno sguardo, renderlo attivo, a meritarci quello spettacolo di cui vediamo solo l’esito estremo, effimero e luminescente in sala, ma che vive dell’energia alchemica di questo strano altrove che è la sua gestazione, il suo farsi e disfarsi come tela di Penelope, come sapiente e travagliata attesa, che questo film prova, con felice pudore, a rivelare.
FilmMakerFest Cineteca Milano Arlecchino 22 novembre 19h30