Estate 1969, Creeksville, South Carolina. La famiglia Bledsoe è riunita per festeggiare il compleanno del patriarca, Daddy Mac (Stephen Root). Con lui i figli Mike (Steve Zahn) e Kitty (Judy Greer) con le rispettive famiglie e il figlio maggiore Frank (Paul Bettany), che se ne è andato da tempo e viene mal tollerato dal padre. A narrare la storia è la quattordicenne Betty (Sophia Lillis), un’adolescente «proprio strana» agli occhi degli altri, sempre contenta delle rare visite dello zio Frank che, riguardo all’atteggiamento ostile del nonno, rivela: «Non sapevo perché lo trattasse male». Lo zio è per lei un modello («Era la persona che volevo diventare») ed è grazie a lui se quattro anni dopo Betty riesce finalmente a farsi chiamare Beth e a trasferirsi a New York per frequentare l’università dove lo zio insegna. È questa l’occasione per conoscere meglio lo zio e scoprire che vive con un uomo, Walid detto Wally (Peter Macdissi), di origine saudite. Entrambi nascondono alle famiglie la loro relazione: Wally è fuggito da un Paese in cui l’omosessualità è punita con la pena di morte e fa credere alla madre di essere sposato, mentre Frank finge con i genitori di Beth di essere fidanzato con Charlotte, un’amica che si presta al gioco. La prima persona a cui Frank dice come stanno le cose è proprio Beth, causando lo stupore del compagno: «Hai detto la verità a Beth. Non me l’aspettavo».
Quando arriva la telefonata della madre (Margo Martindale) che annuncia la morte improvvisa di Daddy Mac, Frank, Beth e Wally tornano nel profondo Sud dei pregiudizi e delle maledizioni. Un viaggio che per Frank rappresenta l’occasione per affrontare i suoi fantasmi e smettere di scappare. Schematico nella costruzione (prologo, parte centrale costituita dal viaggio in auto, epilogo), Zio Frank è una commedia che unisce il coming of age di Beth e il coming out di Frank. Arrivando dopo The Green Book (2018), sconta una sensazione di déjà vu e di déjà vécu e rimane in superficie nella descrizione dei personaggi di contorno, soprattutto per quanto riguarda la relazione tra Frank e l’accudente Wally, un po’ troppo stereotipata. Come sempre nelle opere di Alan Ball (premio Oscar per la sceneggiatura di American Beauty e autore, tra le altre, della serie capolavoro Six Feet Under), alla sua seconda prova dietro la macchina da presa, la morte è un tema centrale. Qui il funerale del padre è l’espediente narrativo per il ritorno alle origini, ma soprattutto per affrontare il trauma rappresentato dalla morte del giovane amante Sam che, nel 1944, decide di suicidarsi piuttosto che di piegarsi alle apparenze. Un film sicuramente molto personale (non a caso a interpretare Wally c’è il compagno di Ball), ma non autobiografico in senso stretto – anche se parte da uno spunto che riguarda il padre del regista e ronzava nella sua testa da venticinque anni – che conta sull’ottima interpretazione di Paul Bettany, apparentemente distaccato, ma profondamente tormentato e sulla freschezza di Sophie Lillis.