Quello che si temeva stesse per accadere, dopo le primissime e ancora indefinite immagini di Supernova, è irrimediabilmente accaduto. Storia prevedibile di una coppia di maturi omosessuali in viaggio per un’ultima volta insieme, poiché Tusker (Stanley Tucci) è ammalato di demenza senile ed è senza speranze e Sam (Colin Firth), suo compagno, vuole accompagnarlo a salutare parenti e amici con la scusa di un ultimo concerto per lui musicista. La storia è tutta qui, dentro un prevedibile svolgimento pieno di rimpianti e di paure per un futuro di solitudine, per chi resterà, e l’impossibilità di portare a termine progetti e speranze. Supernova si adatta, malinconicamente e senza scosse, ad una sconcertante prevedibilità che spingerebbe, in realtà, a chiudere gli occhi per proseguire da soli il racconto nell’impossibile sfida di farne una cosa differente a quanto scorre sullo schermo. Un film che, purtroppo, nulla rischiando, nulla trascura di tutto l’armamentario solito di questo cinema che calza perfettamente quando c’è necessità di dimostrare che ancora abbiamo un’anima, un cuore che batte e lacrime per piangere. Harry Macquenn che viene dal mondo dello spettacolo finora solo come attore, si è cimentato in questa sua prima esperienza cinematografica con una serie di solide assicurazioni sulla sua futura carriera di regista. Due mostri sacri del panorama attoriale mondiale, come Colin Firth e Stanley Tucci, peraltro particolarmente amati dal pubblico, sono il premio assicurativo principale.
I due attori, non sbagliando un colpo, non sbagliano neppure questo film ed entrambi ne nobilitano, con la loro interpretazione piena di sfumature – soprattutto quella di Tucci, al quale resta affidato il ruolo più complesso – il contenuto sapendo attribuire ai loro personaggi la spontanea credibilità che solo la naturalezza interpretativa dei grandi attori può fare nascere. La loro presenza resta sicuramente la cosa migliore del film, pur non potendo non sottolineare che questo costituisce una debolezza dell’intera operazione, piuttosto che una forza. Mcqueen sa bene che due nomi privi di appeal avrebbero fatto affondare il suo film senza fargli guadagnare neppure una stelletta. Ma da qui sarebbe dovuta nascere la sfida di puntare più in alto o meglio spostare il bersaglio, fare di questo film qualcosa di diverso, perché no? di indelebile. Ma siamo nel mondo dei se e giustamente non è questo il film che Macqueen ha pensato per noi. In questa larga prevedibilità dello scorrere della storia dentro la quale si ritrova, ma ovviamente, anche l’amore devoto che la coppia reciprocamente si riconosce e la durezza di una realtà futura che prevede, inevitabilmente, la solitudine di Sam, non può mancare una famiglia accogliente – quella di Sam – che vive isolata dal mondo forse nelle Highlands scozzesi, come se il mondo non esistesse. Durante la festa che la sorella di Sam dà per riunire gli amici, forse per un’ultima volta con Tusker presente, la metafora della supernova che si illumina nell’esplosione prima di scomparire spiegata alla ragazzina, completa il disegno del regista inglese e offre, per chi ancora non lo avesse capito, la didascalia esplicativa del racconto e dell’amore che governa la coppia gay con la morte come ultima e indimenticabile illuminazione verso la vita.
Non sarebbero mutate le cose se si fosse trattato di una coppia etero e d’altra parte ce lo ha dimostrato Virzì nel suo esordio hollywoodiano dove, oggi, visto Supernova, diventa perfino giustificabile, per il regista italiano a confronto con la grande industria americana, l’assenza di alcun rischio così come è accaduto in questo film. L’unica differenza era l’ironia del personaggio di Sutherland che stemperava l’inevitabilità di un esito e di un atteggiarsi della storia, anche in quel film, comprensibile sin dalle prime inquadrature. Mcqueen evita invece ogni ironia e solidarizza esclusivamente con il dolore, esibendolo e manifestandolo sotto ogni piega, e con Tucci in grande spolvero e la malinconica espressione di Firth non c’è da temere sulla riuscita del progetto e delle intenzioni. Molti anni fa, Johnatan Demme girò Philadelfia, in un’epoca in cui l’omosessualità era ancora un tabù da infrangere e l’AIDS la punizione divina per ogni irregolarità morale. Il suo film arrivò come un fiume in piena, travolgendo e stravolgendo ogni luogo comune, ogni sottile discriminazione, ma soprattutto mostrando al mondo il vero dolore profondo e smisurato della malattia e dell’abbandono della vita e dell’altro. Il dolore era materico e non scritto su carta pregiata. Ma erano altri tempi, vi era un altro sguardo sul mondo e c’era voglia di sfida, coraggio anche di sbagliare. Mcqueen non sbaglia nulla nel film, tranne che il film.