Tutto si svolge in una piccola comunità di quel grande Paese che è la Cina. Nell’aula di una scuola, un giorno, la piccola Zhang Jiaxing viene scoperta a frugare negli zaini dei compagni di classe mentre tutti sono fuori per la ricreazione. La ragazzina sta solo cercando di capire chi dei suoi compagni in una lettera anonima le ha scritto con inatteso e ruvido modo istinti che prova per lei. Sarà accusata di essere una ladra e da questa offesa, per lei che vive con la nonna, parte il desiderio di ritrovare i genitori, che sono partiti per lavoro, forse si sono anche separati, non dando notizie di loro da molto tempo. Zhang Jiaxing vive questo distacco e con due sue piccole amiche, dopo avere ottenuto un prestito in denaro da uno strozzino, progetterà di partire per raggiungerli. L’esordiente Qi Rui volge il suo sguardo ad un mondo infantile abbandonato, ad una Cina invisibile e ignorata, quella dei bambini, ma le sue immagini, in grado di raccontare molto di più, sembrano a volte di diventare quello stesso silenzio che avvolge le vite di queste tre piccole protagoniste. Il tratto dominante del racconto è la solitudine di queste tre ragazzine, che si rivolgono speranzose agli adulti senza ottenere risposte, senza che il loro desiderio di ascolto sia appagato. È il tratto più evidente di questa opera prima e lo stile dimesso adottato nel racconto costituisce il giusto verso della narrazione, in qualche modo trasportando la macchina da presa allo stesso livello del più piccolo mondo delle giovanissime protagoniste.
Il film è ispirato ad un evento realmente accaduto e nel suo svolgersi ne ricorda un altro che, con altrettanta e anche maggiore profondità, raccontava la distanza che comunque separa il mondo infantile da quello degli adulti. Dov’è la casa del mio amico?, il magistrale film di Abbas Kiarostami, a differenti latitudini e con una incisività anche superiore tanto da fare diventare quel racconto un incalzante thriller, ha saputo descrivere quella stessa distanza tra i due mondi e quell’incapacità di ascoltare l’infanzia che oggi il regista cinese ci mostra nel suo film.Ma se l’intenzione del regista iraniano era tutta rivolta alla incomunicabilità tra i due mondi, ad una incapacità di cogliere una attenzione insistentemente ricercata e di accompagnare la solitudine della decisione, quella del regista cinese diventa anche una incursione su un pensiero diffuso che non tiene in alcuna considerazione il rapporto con i bambini. Zhang Jiaxing e le sue amiche sono costrette a subire ripetute umiliazioni per riuscire nelle loro intenzioni e la loro fuga, il cui esito nel film resta sospeso nell’alone di un mistero che il regista non vuole sciogliere, diventa non soltanto realizzazione di una decisione, ma anche volontà di autodeterminazione in un ambiente che non sa accettare le loro invocazioni d’aiuto e non sa sentire il disagio di un’età in cui si forma l’esperienza e ancora molto resta sconosciuto. Qi Rui senza enfasi narrative e senza alcuna retorica, sa mostrare il malessere adolescenziale di queste piccole donne e sospende nel dubbio il racconto della loro fuga in un fermo immagine finale che finalmente coglie i loro sorrisi.