Torino 38 – Smascherare la realtà: Botox, di Kaveh Mazaheri

Sono come mondi concentrici, quelli raccontati in Botox, presentato in anteprima mondiale in concorso al 38° Torino Film Festival: per la particolare curiosità che Kaveh Mazaheri ha dimostrato nel cercare realtà e dinamiche meno note della società iraniana, in cui si sovrappongono cliniche di bellezza, famiglie in cerca di ricchezza con il traffico illecito di funghi allucinogeni e mercati rionali. E per il modo in cui racconta tutto questo, adottando il punto di vista privilegiato di Akram, sorella autistica della più emancipata Azam e da lei vessata insieme al fratello maggiore Emad. Almeno fino al giorno in cui, dopo l’ennesimo torto, Akram non scaraventa il fratello giù dal tetto di casa. Per la cinica Azam è l’occasione d’oro: nasconde il corpo e libera così la casa, offrendola come laboratorio all’amante Saeid per coltivare i funghi. Tanto Akram non parlerà, o forse si è già convinta che suo fratello è “solo” partito per il tanto agognato viaggio in Germania. Ispirandosi a personaggi che ha realmente conosciuto, Mazaheri prosegue così un discorso sul ruolo della donna nella società iraniana già esplorato nei suoi primi cortometraggi. Lascia quindi emergere l’ingiustizia, ma allo stesso tempo è come se mantenesse una rispettosa distanza dal dramma di Akram, che appare come una scheggia imprevedibile, elemento che smaschera il velo delle coperture censoree esercitato da chi le sta intorno, attraverso la sua inaspettata umanità. Le gesta di Akram sono infatti inattese, in contropiede rispetto a quell’inazione che da lei ci si aspetterebbe, e rappresentano il tentativo dell’irrazionale di porsi quale unica chiave di volta per squarciare il velo di un mondo che ha adottato la finzione.

 

 

In tal senso, fin dalla prima inquadratura in cui la vediamo assistere in tv alla proiezione di un corto di Road Runner e Wile E. Coyote, appare chiaro come Akram sia un personaggio da cartoon, capace di piegare la logica del reale a una bizzarra commedia dell’assurdo, che mette lo spettatore di fronte a più percorsi. Da un lato, infatti, Botox mostra gli “strati” di una realtà esteriormente mendace, interessata a coprire le imperfezioni, siano quelle della pelle con le iniezioni di botox, o quelle parentali nascondendo un fratricidio per poter commettere dei loschi traffici; dall’altro, apre in questo modo il racconto a possibilità in cui i toni si mescolano come le location, scardinando la linearità che altrimenti terrebbe distinti i piani narrativi. Pertanto, quella a cui assistiamo è forse tutta un’allucinazione provocata dai funghi tanto bramati da Azam e Saeid o forse è il sogno di Emad realmente emigrato in Germania. Per il tramite di una impossibilità cartoonesca incarnata dal corpo immobile sebbene imprevedibile di Akram (che ricorda un po’ il Droopy di Tex Avery), Botox interiorizza così la cifra magica della cultura persiana (si pensi alle “storie nelle storie” de Le mille e una notte) permettendo a un racconto molto realistico e drammatico di farsi multitesto magico, in barba all’uniformità del grigio che domina la palette cromatica con cui sono raffigurati un po’ tutti gli ambienti. Ci riesce grazie alla scelta indovinata di lasciar interpretare Akram a Susan Parvar, celebre in Iran per la partecipazione a molte commedie seriali televisive e che dimostra di aver compreso perfettamente il lavoro richiesto sulla sua fisicità ed espressione delle sfumature con la (poca) mobilità del corpo. Ciò che deve fare Mazaheri è lasciarla agire, come quei parenti che le chiedono sempre di partecipare all’atto dello scavare (i buchi in giardino, il varco nella superficie del lago ghiacciato): ordinatamente, come la terra infilata nei sacchi che però lei, Akram, disperderà con foga, complice del suo regista in attesa del gesto definitivo di opposizione. Come tutta questa vicenda in perenne attesa dell’ennesimo passaggio di stato verso l’ulteriore possibile livello del reale.