Torino 38 – The Oak Room di Cody Calahan e l’eco del racconto

Adattamento dell’omonima opera teatrale di Peter Genoway (qui sceneggiatore), il quinto lungometraggio diretto dal canadese Cody Calahan (Antisocial, Antisocial 2, Let Her Out, Vicious Fun) pur essendo serrato tra le quattro mura di un bar, espande le frontiere del neo-noir da una parte incastrandole a un impianto vertiginoso e labirintico, colmo di ombre, misteri e suggestioni ancestrali, dall’altra mescolandole a drammi familiari, atmosfere thriller e ritorni orrorifici. Durante una violenta tempesta di neve, Paul, proprietario di un bar in una piccola città canadese, ha appena chiuso il suo locale quando Steve, un vagabondo carico di bagagli, chiede di entrare. Dopo l’iniziale tensione fra i due, Steve racconta al barista una storia come se ci fosse un vecchio debito tra loro. È la storia di un’altra notte nevosa, di un altro bar, il The Oak Room, e di un altro barista al quale, poco dopo l’orario di chiusura, fa visita un ragazzo sconosciuto. Ma anche dentro questa storia ce n’è un’altra, e poi un’altra ancora. La notte si trasforma in un racconto oscuro, tra violenza e scambi di identità. L’urto emotivo è notevole, la struttura dell’intreccio densa ma avvolgente, sempre in grado di tenere in equilibrio il gioco di contrasti tra fuori e dentro, chiuso e aperto, reale e irreale. È questo un film in cui si riporta al centro il racconto con la sua forza illusoria, il cui cuore pulsante è una parola pronunciata da una voce calda in una notte fredda, un mosaico di tessere che salvano o condannano l’uomo preda del caos. Un film supportato da una narrazione efficace dal ritmo incisivo dove si aprono piste narrative e sovrappongono mondi e modi, interpellando lo spettatore a raccogliere indizi, formulare ipotesi, disegnare nuove traiettorie ma, pure, interrogando il senso della verità facendo i conti con l’identità dell’immagine.

 

 

È sorprendente la consapevolezza con cui si riempiono le assenze e riducono le distanze, in un ingegnoso, costante ed efficace meccanismo di sottrazione e accumulo: vuoti riempiti da presenze ipnotiche, neon luminescenti, oggetti polverosi che rendono l’oscurità insopportabile, la frenesia di un’automobile nella notte nevosa, un maiale in braccio a un bambino, un ospite indesiderato, una lacrima, un urlo, un rimpianto. Ma, accantonando per un attimo le meraviglie causate dall’ibridazione di forme o dalla gestione della tensione, il legame con il family drama rappresenta un’autentica frattura perché rende The Oak Room un autentico altro, una scheggia impazzita che traduce una domanda schiacciante: cosa conserviamo e come consegniamo le nostre storie?