Cenni di realtà, assaggi di verità dei sentimenti resi instabili dalla fragilità della vita, personaggi inframmezzati nella loro consapevole inconclusione, che li spinge in avanti per approssimazione esistenziale: Spaghetti Story, Acqua di marzo e ora questo Giulia, così preciso nel suo sfarfallio di ritratti trasparenti, colti in controluce estiva… Ciro De Caro è un regista che sa molto bene quello che fa e lo fa con una bella coerenza, lieve e giocosa ma non gratuita, stando in una fragilità espressiva e in una leggerezza narrativa che è programmaticamente empatica rispetto ai personaggi che ama raccontare, ed è anche funzionale a quella marginalità degli effetti desiderati in cui si ritrova comodamente. I suoi sono film che dialogano bene con quella sorta di realismo dissociato e autoironico di certo cinema italiano, di un gruppo di registi che da un po’ di tempo in qua va definendo una sfera poetica molto più interessante di quanto il loro programmatico stare ai margini induca a pensare: Gianni Di Gregorio, Mario Balsamo, Carlo Luglio e altri ancora. Tutti portatori sani, come Ciro De Caro, di uno sguardo sociale imprevedibilmente intimo e soprattutto sincronico rispetto al brusio di quartiere, alle vite di periferia, a un certo umanesimo distratto dalla prosaica inconcludenza della vita: Citti approverebbe…
Giulia, dunque, scritto assieme a Rosa Palasciano, che informa di sé, della sua flagrante vaghezza, la protagonista, interpretandola tra le anse e le ansie delle sue giornate di giovane donna interrotta: il suo compagno la sta lasciando, lei recrimina un desiderio di maternità frustrato e tenta di evitare la solitudine in cui si abbatterà e si dibatterà nei giorni a venire. Giulia infatti si spinge per le strade del quartiere raccattando dalla spazzatura giocattoli per quel figlio che non ha avuto la forza di avere, instabile sulle abitudini di una quotidianità indefinita: tira la giornata accudendo più o meno una vecchia signora e animando un centro per anziani dove racimola qualche euro, cerca di imporsi caparbiamente all’ex compagno, si concede a un appuntamento di sesso, un po’ per soldi e un po’ sperando in una gravidanza… Infine entra in simmetria con Sergio, un attore spiantato interpretato da Valerio Di Benedetto come fosse un po’ la conseguenza del personaggio fatto per De Caro in Spaghetti Story: Giulia non gradisce i suoi tentativi di affiancarla nel centro per anziani, eppure finisce col legarsi a lui in una sorta di contrapposizione affettiva che spiazza il ragazzo ma non gli spiace affatto. Giulia si impone così nella casa che Sergio condivide con Ciavoni (Fabrizio Ciavoni, notevole presenza life-size del film) e, assieme a Fausto, vicino di casa in perenne fuga dalla moglie (Cristian Di Sante, altra bella costante nel cinema di De Caro), i quattro diventano una sorta di unità mobile di sopravvivenza nella periferia romana, tra improvvisate feste casalinghe, gite a Ostia, fughe, smarrimenti, litigi e drammi appesi alla fragilità di tutti e alla forza di ognuno.
Il film sta tutto nella immatura stabilità dei suoi personaggi, nella loro flânerie di periferia, caduta dall’alto di un perenne bisogno di trovarsi fuori dai confini dell’esistere comune, dispersi nella vaghezza dei sentimenti quotidiani, nella disoccupazione esistenziale di quello che alla fine sembra quasi un Circolo Pickwick in sedicesimo esistenziale… Rispetto ai due precedenti film di De Caro, Giulia ha la forza poetica dell’irresolutezza alla quale si aggrappa la protagonista, contrapposta alla involuta stabilità dei personaggi cui si affianca con empatica forza oppositiva. Ciro De Caro guarda con una sorta di strabismo la scena, vede la flagranza dei personaggi, la loro verità, ma anche la loro sagomatura caratteriale, guarda la realtà ma anche le sfumature patetiche di quelle esistenze, senza mai giudicarle, amandole anzi e rispettandole per quello che sono: segni d’una umanità che balbetta davanti alla protervia della vita. Giulia è insomma un film piccolo, fragile, determinato, costante, coerente, ininfluente… Dunque bello, determinante e da amare.