Un piccolo paese tra le campagne del sud della Spagna, i colori intensi, l’aria calda che si respira, il vociare dei suoi abitanti. Anche se sembra tutto cambiato, rispetto ai film precedenti, il lavoro di Asghar Farhadi, Tutti lo sanno (Everybody Knows) respira la stessa sensazione di claustrofobia degli appartamenti e delle case in costante mutamento, fino ad ora usate a fare da sfondo vivo alle sue storie. Dopo la Francia de Il passato , si va in Spagna (“Ad attrarmi sono stati il paesaggio, la cultura locale e il fatto di cronaca al centro della storia. Da allora ho continuato a pensare alla Spagna”) per una coproduzione italo-franco-spagnola a raccontare storie mai finite di una famiglia felice ed unita, ma che nasconde un passato che non è davvero mai passato. Lo scopriamo lentamente, in un gioco di continue sorprese (sarebbe impossibile chiamarli colpi di scena per il modo dimesso della loro esposizione), che ci aggiornano del vissuto dei personaggi e del loro passato, appunto, per fare i conti nel presente e mettere tutte quante in fila le cose irrisolte. Il primo film del concorso di Cannes 71 – passato in apertura di un festival dove non mancano i motivi di inquietudine – disattende le aspettative cui l’iraniano Farhadi aveva sempre ottemperato, a causa di un eccesso di scrittura (il problema che affligge quasi sempre le co-produzioni tra vari Paesi) e di un cercare forzosamente un ordine macchinoso, che appesantisce e non aiuta lo scorrere del racconto e interferisce con la costruzione del giallo.
Laura torna in Spagna da Buenos Aires per partecipare al matrimonio della sorella. Il clima è festoso e
allegro, il ritmo vorticoso fino al giorno delle nozze. Durante i festeggiamenti, infatti, Irene, la figlia maggiore di Laura, viene sequestrata lasciando tutti sconvolti e increduli. Paco proprietario delle vigne che in passato erano di Laura, è il primo ad accorrere in aiuto della donna (i due in gioventù sono stati uniti da una intensa relazione), mentre i rapitori mandano messaggi oscuri in cui chiedono un ingente riscatto. Come in About Elly, tutto cambia all’improvviso a causa di una sparizione. Si fa buio nella grande casa festosa, e quando torna la luce tutto riappare diverso, non solo per l’ombra del rapimento (perché è evidente che i rapitori fanno parte della famiglia) ma anche perché è come se si fosse sollevato un velo a favore di una nuova verità, pronta a farsi largo con prepotenza tra i personaggi. Essi stessi giocano il ruolo delle pedina su una scacchiera. Tutti possono essere colpevoli, tutti sono sospettabili, ma nulla sembra davvero incidere l’immagine, nessuno stratagemma narrativo riesce a interferire a livello formale nella apparente perfezione del contesto. Si sorvola semplicemente su questo paesaggio, sorvolando sulla definizione a tutto tondo dei protagonisti. La capacità splendidamente polanskiana di Farhadi di legarsi ad un dettaglio e farlo crescere nella percezione intera del film, scompare qui a favore di una precisione descrittiva decisamente meno efficace.