Animotion – Lo sguardo pacifista di Arf di Anna Russo e Simona Cornacchia

Non è scontato trovare un equilibrio tra modi rappresentativi e narrazione degli orrori, tra guerra, campi di concentramento, dittatore, innocenza dei bambini. Ci si domanda se e come sia possibile generare nuove immagini e nuove rappresentazioni. Come evitare le ambiguità più scivolose? Come aprire nuove strade interpretative? Soprattutto, come fare se si tratta di cinema d’animazione? Il capolavoro nel genere è stata l’allegoria di Galline in fuga, poi non molto altro anche se di recente non sono mancate risposte convincenti. La più conosciuta certamente è stata quella offerta da Ari Folman che con Anna Frank e il diario segreto ripercorreva parte della propria personale storia famigliare; in Italia, pur con investimenti e intenti diversi, hanno raccolto la sfida sia Rosalba Vitellaro e Alessandro Belli con il loro La stella di Andra e Tati (ispirato alla storia delle sorelline Bucci di 4 e 6 anni, deportate nel 1944 nel campo di concentramento di Auschwitz insieme alla madre, la nonna, la zia e il cuginetto), sia Caterina De Mata e Luca Di Cecca con Come foglie al vento, animazione ispirata all’omonimo romanzo di Riccardo Calimani, esempi collocati in circuiti paralleli alla sala cinematografica che hanno trovato una discreta accoglienza di pubblico. Arf è un film che cerca la propria strada tra i due estremi: prodotto e distribuito da Genoma Films, piccola e valorosa casa indipendente che accoglie la sfida del grande schermo, non nasconde gli espliciti intenti educativi rivolti a piccoli spettatori.

 

 
Attento a raccontare con serietà e leggerezza una nuova rappresentazione delle questioni inerenti al Giorno della Memoria, il film di Anna Russo e Simona Cornacchia (tra le sue collaborazioni, La gabbianella e il gatto, Aida degli alberi, Johan Padan a la descoverta de le Americhe), offre un’animazione diretta e semplice, simpatica e gentile, attuale e dal gusto cinefilo strizzando l’occhiolino a Chaplin (il barbiere e la parodia del dittatore de Il grande dittatore), a Mowgli e al mito del ragazzo selvaggio. Il tradizionale 2D propone contorni grezzi ma vibranti, fondali acquerellati, forme discontinue e ritmate, linee sinuose, morbide, colori caldi che evocano la tranquillità, linee spigolose e simmetrie per le fredde ambientazioni dei campi di concentramento e delle città assediate ma anche per i volti degli ufficiali. Una delle scelte più compiute riguarda l’assenza di violenza esplicita: tutto è trasmesso mediante un linguaggio metaforico, suggestioni oniriche, lirismo simbolico disegnato da linee e colori che veicolano emozioni dense e mai piatte. L’intreccio è semplice ma propone diverse soluzioni intriganti e più di un momento di cinema delle attrazioni. Nell’Europa stravolta dalla guerra, un neonato abbandonato dalla madre viene adottato dalla cagnolina Bianca che lo nutre e lo protegge come se fosse uno dei suoi cuccioli. Il bambino cresce in collina ai margini della città, randagio fra i randagi di cui impara a conoscere il linguaggio, non sa parlare ma abbaia, non sa leggere ma ha un ottimo fiuto e un carattere adorabile. Gli orrori della guerra raggiungono la loro isola felice: il branco è disperso in una retata e Arf, questo è il nome del bambino, catturato, verrà rinchiuso in un lager dove incontrerà altri bambini come lui ancora con la voglia di sorridere.

 

 
La serenità del bambino, che sa soltanto abbaiare, fa infuriare il nevrastenico comandante del campo che pensa a drastiche soluzioni ma per salvarlo gli amici cani di Arf creeranno un grande scompiglio proprio nel giorno in cui il dittatore andrà in visita per tenere un discorso ai soldati e alla Nazione. Anche lui dovrà vedersela con Arf, che rovinerà i suoi piani e riuscirà a salvare il suo branco di amici, ritrovare Bianca e la libertà, mentre scoppia la Pace. Ispirato al romanzo Il baffo del dittatore della stessa Anna Russo (Gitani si nasce e si diventa, El cante Flamenco, La bambina Babilonia, Pao alla conquista del mondo, Caro Hamid, fratello lontano e Ibrahim, il bambino del campo), questa storia fantastica e buffa affronta le oscurità della grande tragedia del Novecento dal punto di vista dei più deboli, bambini e animali portatori di uno sguardo innocente in grado di riscattare il mondo. Arf avanza l’idea che basta cambiare il punto di vista per cambiare la percezione della realtà che ci circonda: la purezza, l’ingenuità e la capacità del personaggio di vedere il buono in tutte le cose sono in grado di destabilizzare anche il momento più buio della storia e trasformare le ombre in luce. Questa idea si riflette anche nell’animazione: le esplosioni si trasformano in fiori, il filo spinato diventa radice degli alberi, cacciabombardieri disegnati come uccelli migratori, anche i più piccoli animali del prato possiedono una loro dignità come coccinelle e altri insetti. Tutto è in continua evoluzione, come dichiarato dalle registe: «La particolarità del progetto è nell’idea di parlare di temi come razzismo, campi di concentramento, separazione, diversità, ma da un’angolazione assolutamente anomala: gli occhi di un cane. Gli uomini sono decisamente più intelligenti dei cani, eppure a nessun cane è mai importato del proprio colore. Da questo pensiero è nata l’idea del film, che porta temi terribili su lidi surreali. La risata viene spontanea, ma fa pensare, apre le porte del cuore e fa entrare una nuova idea». Operazione coraggiosa per un film da non sottovalutare che aggiunge un tassello al genere della memoria.