La storia di Elsa Morante forse insieme a La pelle dell’incompreso Curzio Malaparte, sono due grandi romanzi del nostro ‘900 che descrivono, nello spessore dei loro personaggi e nella fitta trama di eventi, più lineari nel romanzo di Morante, più legati ad una tragicità collettiva quasi metafisica nel romanzo dello scrittore toscano, il senso della sconfitta dopo il conflitto mondiale. Descrivono le vite dei vinti durante e dopo la tempesta. Sanno farci toccare con mano il disastro della guerra che è di tutti, vincitori e vinti, in quel vortice di violenza che le travolge trasformandole. È su questa intuizione che si pone anche la riduzione televisiva di Francesca Archibugi che ha anche partecipato alla stesura della sceneggiatura scritta con Giulia Calenda, Ilaria Macchia e Francesco Piccolo, che, finalmente, su questo passo che supera il concetto di televisivo per come restano intese le fiction televisive RAI, ritrova il piacere del racconto, la mano felice nel dirigere i suoi attori, tutti straordinariamente in parte e capaci di instaurare quella relazione tra attore e personaggio e tra personaggio e pubblico, tanto da segnare per alcuni di loro (Jasmine Trinca e Valerio Mastandrea) un apice interpretativo scevro da qualsiasi riserva. Attenzioni e cure che danno vita ad una narrazione senza pause che riesce a tenere sempre alta l’attenzione dello spettatore.
La storia nella versione della regista romana si fa anche apprezzare per la qualità delle scelte scenografiche sempre credibili e accurate, forse tra i migliori scenari che la TV ci ha riservato in simili occasioni, con una scelta di ambientazioni molto accurata e capace di restituire il clima di un’epoca con il suo carico di tragedie personali e collettive. La vicenda umana di Ida, maestra elementare per metà ebrea, e dei suoi sfortunati figli sotto le discriminazioni razziali prima e il pervasivo potere della guerra dopo, con la liberazione che libera tutti ma non Ida e Nino e Useppe, questo nato da una violenza di un soldato tedesco durante l’occupazione di Roma da parte dei nazisti, sono quel pezzo di invisibile storia che Elsa Morante traccia nelle sue pagine e che trovano nelle immagini di Francesca Archibugi una loro credibile versatilità narrativa. Escludendo radicalmente ogni impianto prettamente televisivo, fatto di primi piani e inquadrature strette che privilegiano la parte più personale della messa in scena, riuscendo, invece, ad aprire lo sguardo narrativo e inventivo ad una dimensione cinematografica, ad uno sguardo d’insieme su Roma alla mercé della violenza che da ogni parte, come nel resto d’Italia, la feriva, fa del racconto di questi personaggi così dolorosi un racconto universale, come d’altra parte fa il romanzo, riuscendo in questa difficile trasposizione che fu già di Luigi Comencini nel suo quasi introvabile film del 1986.
Da Jasmine Trinca, una dimessa e infelice Ida, a Valerio Mastandrea, il Remo antifascista sempre sotto controllo, al vitale Nino, cui Francesco Zenga sa offrire il suo viso dal sorriso aperto, allo straordinario Mattia Basciani nel cui volto e fattezze ritroviamo la migliore interpretazione possibile dell’Useppe che abbiamo conosciuto nelle pagine di Elsa Morante. Con La storia, in una prospettiva di politica culturale, la RAI, la più grande azienda televisiva italiana che anche di diffusione della cultura dovrebbe occuparsi, è tornata ad assolvere ad un compito trascurato da tempo con le inevitabili e consequenziali critiche, quel ruolo didattico che mancava e che invece apparteneva ad un passato sempre più lontano, ma ancora ricordato da molti, durante il quale la diffusione di opere importanti e quindi di scrittori e scrittrici degni di essere ricordati era materia quotidiana nei palinsesti televisivi. Francesca Archibugi e l’intero staff di scrittura e di realizzazione sono riusciti a far tornare il mezzo televisivo a quella originaria natura di strumento anche pedagogico, il che, in tempi come i nostri dove forti soffiano i venti di guerra che sembrano sfiorarci e con una certa inclinazione abbastanza consistente e forse troppo trascurata di ideologie che a quel passato appartengono, non è affatto male.