Los Angeles: in superficie spiagge, sole, avventure, Hollywood e file interminabili di aranceti. Ma appena sotto ecco l’altro volto della città degli Angeli, il ventre di Los Angeles insopportabile come arance lasciate a marcire sotto il sole. Ce lo racconta Dark City. The Real Los Angeles Noir di Jim Hellman (Taschen, euro 75, pa.480), vertiginoso viaggio nel cuore di tenebra della città. Un’epopea visuale come nessun’altra, che riunisce immagini tratte da archivi, musei, raccolte private, obitori, schedari della polizia, giornali…Una sontuosa “libreria” da sondare con lo sguardo dove le fotografie dagli anni ’20 ai ’50 mostrano una città in perenne evoluzione: il paesaggio è mutevole, le strade continuamente rifatte, le colline livellate e molti edifici costruiti e quindi eliminati per adattarsi a ulteriori cambiamenti. Le foto descrivono i locali notturni e i bar, le bische, i corpi sepolti, le forme senza vita sulle lastre dei coroner, le celebrità di Hollywood, i politici, i gangster, i musicisti, le ballerine…I fotografi potevano rendere la città bella e cattiva. Gli scatti glamour aiutavano a portare migliaia di nuovi residenti nel Southland. Le immagini promozionali promettevano sole e surf, una vita migliore e possibilità illimitate, ma le foto di giornali e tabloid mostravano ai nuovi arrivati che la visione seduttiva non era l’intera storia. Il rovescio della medaglia era un’altra città del Sud, dove imperavano droga, piccoli e grandi criminali, sesso facile, omicidi in serie e una forza di polizia notoriamente corrotta. Era l’altra Los Angeles – una città inondata di violenza e peccato come urlavano i giornali scandalistici. Una città alla quale aspirare e una città da insultare. Entrambe le versioni andavano benone ed erano responsabili della creazione della mitica Città degli angeli. In apertura: Arresto a downtown, 1955. Foto Jim Heimann Collection / Courtesy TASCHEN.
Le foto e le storie le fornivano i fotografi della stampa, iene sempre sulle piste giuste. Avevano accesso illimitato alle scene dei crimini e nelle notti d’estate li si poteva trovare a cercare fresco dentro gli obitori dove attendevano fiduciosi la prossima storia in arrivo. Fra coloro che vagavano per le strade bisogna almeno ricordare Perry Fowler, Agness “Aggie” Underwood e Paul Dorsey, tutti del Los Angeles Herald-Express, Cliff Wesselmann, che lavorava per l’Hollywood Citizen-News, e George Watson del Los Angeles Times. Tanto per dire: Watson, insieme ai suoi sei nipoti, ha creato un’azienda a conduzione familiare, producendo oltre un milione di immagini della città in ascesa. Una città che attirava anche gli scrittori soggiogati dalla bellezza fisica delle colline e della costa che si confondevano con la sporcizia urbana e con un’incredibile e variegata umanità che dragava i marciapiedi giorno e notte. Vite reali e immaginate (Hollywood), anteprime dei film, prostituzione, gioco d’azzardo. Tutto stava insieme e tutto aveva senso. Nel 1920 il boom immobiliare aveva portato la popolazione di Los Angeles a poco più di 500.000 persone. Entro la fine del decennio gli abitanti sarebbero diventati poco più di un milione, L.A. ormai era la quinta città più grande del paese. Un’esplosione demografica incontrollata, nella prima città al mondo ad avere l’automobile come mezzo principale di trasporto e 500 miglia quadrate di strade, quindi agglomerati urbani che si moltiplicavano in modo quasi incontrollato. Una crescita così furiosa scatenava molti appetiti. E ci voleva qualcuno che dettasse le regole. Chi meglio del capo della polizia Ed “Two Gun” Davis poteva proporsi come garante per tangenti e corruzione? Insieme ai politici mise in piedi una sistematica spolizione della città. Poi esagerarono e nel ’38 ammazzarono Harry Raymond, un detective che denunciava il malaffare. L’opinione pubblica reagì e il sindaco Frank Shaw ci rimise il posto insieme a Ed “Two Gun” e a una trentina di poliziotti. Se questi erano i tutori della legge si comprende perché Los Angeles fosse considerata la Dark Town per eccellenza.
Anche Hollywood faceva la sua parte fornendo scandali a getto continuo. Quando agli inizi degli anni Quaranta venne arrestata Brenda Allen, la tenutaria del bordello più esclusivo della città, piazzato sopra il Sunset Boulevard, saltò fuori un prezioso taccuino con l’elenco dei clienti, pieno di star del cinema. Per mesi giornali come Confidential (che James Ellroy battezzerà simpaticamente spalamerda nella sua quadrilogia dedicata a L.A.) ci sgauzzarono felici. E nel settembre del ’48 quando Robert Mitchum fu beccato con la stellina Lila Leeds e un sacchetto di marijuna in un bungalow del Laurel Canyon si decise che il suo sarebbe stato un processo pubblico ed esemplare. “Sono rovinato” – dichiarò il desolato Robert – ma si sbagliava, dopo aver scontato una condanna di due mesi nella prigione della contea, il suo indice di popolarità salì alle stelle alimentando la sua immagine di bad boy e spianandogli la carriera. Il libro di Hellman documenta in modo nitido e consapevole storie di vero dolore, discese in un inferno di polvere e sangue, tradimenti e corruzione. Un cerimoniale di morte che dispiega tutta la sua potenza in casi esemplari come quello di Dalia Nera, una inseguitrice di sogni resa immortale da James Ellroy:” Non l’ho mai conosciuta da viva. Lei, per me, esiste solo attraverso gli altri, nell’evidenza delle loro reazioni alla sua morte. Scavando a ritroso e attenendomi ai fatti posso dire che era una ragazza triste e una puttana. Nella migliore delle ipotesi era una fallita, un’etichetta che, del resto, potrei applicare a me stesso.”