Un tuffo nella Storia all’ora di pranzo e un tuffo nella storia all’ora di cena (con l’effetto collaterale di aver saltato l’uno e l’altra). Con il pretesto di vedere la gara di dressage a squadre, disputata nel parco di Versailles️, nella tarda mattinata ho infatti rivisitato, sia pure a volo d’uccello, lo straordinario complesso che ospitò la corte dei re di Francia dai tempi di Luigi XIV fino al 1789. Alle 18 ero invece nell’impianto di Bercy per la finale della gara a squadre di ginnastica artistica femminile, vinta come da pronostico dagli Stati Uniti davanti a Italia e Brasile.Un risultato storico per questa disciplina che da anni ha il suo cuore pulsante a Brescia, dove sono cresciute più generazioni di atlete, la più celebre della quali, Vanessa Ferrari, aveva conquistato a Tokyo l’argento olimpico nella finale al corpo libero, a coronamento di una carriera che forse si sarebbe conclusa sulla pedana parigina, se l’ennesimo infortunio non l’avesse fermata il mese scorso. Una medaglia anche quella senza precedenti in campo femminile, così come il titolo mondiale conquistato ad Aarhus nel 2006, frutto di un talento sconfinato, di una volontà di ferro e di una guida tecnica di altissimo livello, quella di Enrico Casella, fondatore della Brixia giusto quarant’anni fa, da allora allenatore della società e dal 2013 direttore tecnico delle squadre nazionali, già guidate in precedenza per due brevi periodi. Una cosa è però una medaglia individuale, un’altra è quella conquistata nella competizione a squadre, ovvero da cinque ginnaste (ma il gruppo che ha lavorato in questi ultimi anni ne include altre due oltre a Vanessa, ovvero Martina Maggio e Asia D’Amato, a loro volta fermate da infortuni). Un gruppo che già nei mondiali di Stoccarda dell’ottobre 2019 aveva dimostrato, conquistando un bronzo senza precedenti alle spalle di Stati Uniti e Russia, di poter ambire a una medaglia olimpica.
La lunga interruzione per Covid, lo slittamento delle Olimpiadi di un anno, alcuni infortuni, avevano visto l’Italia, rappresentata a Tokyo da Vanessa Ferrari, Martina Maggio e dalle gemelle D’Amato, fermarsi ai piedi del podio, preceduta dalla Gran Bretagna per meno di mezzo punto. Martedì sera, dopo tre anni di allenamenti, competizioni nazionali e internazionali – l’ultimo confortante test i campionati europei dello scorso maggio a Rimini – la squadra azzurra ha conquistato quella medaglia che mancava dai Giochi di Amsterdam del 1928, quando peraltro erano soltanto cinque le rappresentative in lizza, composte da ben 12 atlete, nel caso dell’Italia tutte pavesi e con un’età media intorno ai quattordici anni. Altri tempi e anche altri attrezzi, con storie drammatiche che meriterebbero di essere ricordate, come magari accadrà in un giorno con meno avvenimenti e meno successi. Già, perché l’argento conquistato – in ordine alfabetico, che coincide anche con l’ordine di altezza in crescendo – da Angela Andreoli, Alice D’Amato, Manila Esposito, Elisa Iorio e Giorgia Villa è una delle tre medaglie che hanno illuminato la giornata della spedizione azzurra.
Le spadiste hanno infatti vinto l’oro nella gara a squadre, mentre Gregorio Paltrinieri è giunto terzo nella finale degli 800 metri. Prima di occuparci di queste altre due medaglie, che portano il totale a 11 (tre ori, quattro argenti e altrettanti bronzi) vale la pena di raccontare, sia pure per sommi capi, la finale di Bercy, disputata davanti a un pubblico numerosissimo (la stella di serata era l’ex nuotatore Michael Phelps) attirato soprattutto da Simone Biles, finora reginetta dei Giochi e proiettata verso la conquista dell’oro nel concorso generale che si disputerà giovedì e vedrà in lizza anche D’Amato ed Esposito. Inserite, in virtù del secondo posto delle qualificazioni, nella stessa rotazione degli USA, le italiane hanno debuttato al volteggio schierando le due ginnaste appena citate e Angela Andreoli, chiudendo al terzo posto alle spalle delle statunitensi e della Cina, che veniva subito scavalcata grazie a una buona trave, aperta da Giorgia Villa, seguita da D’Amato e Iorio, che, stringendo i denti per il dolore al piede sinistro ha potuto dare il suo apporto nell’unico attrezzo in cui le estremità inferiori sono utilizzate solo nell’atterraggio.
La successiva rotazione alla trave vedeva Esposito, D’Amato e Andreoli protagoniste di esercizi solidi che consentivano all’Italia di presentarsi al corpo libero, una delle specialità della casa, con un punto abbondante di vantaggio sulla Gran Bretagna e quasi tre sul Canada. Argento in ghiaccio? Nemmeno per sogno, perché mentre le britanniche alla trave non incantavano, il Brasile, guidato dalla Andrade, sciorinava un volteggio di altissimo livello, che coincideva con un modesto esercizio di Manila Esposito, che rimescolava per un attimo le carte. D’Amato e poi Andreoli (13.833, il miglior esercizio al corpo libero tra i sette effettuati dalle azzurre tra domenica e martedì, che nelle qualificazioni le sarebbe valso la finale di specialità) rintuzzavano l’attacco delle giallo-oro, concludendo con 165.494 punti contro i 164.494 del Brasile. Prime le statunitensi con 171.296. E veniamo all’oro di giornata, il primo conquistato sulla terra ferma, il primo di questi Giochi nella scherma, interrompendo un digiuno durato otto anni e portando il totale a 50 (il fascino dei numeri tondi). Rossella Fiamingo, Giulia Rizzi, Alberta Santuccio e Mara Navarria hanno superato in finale le francesi in un Grand Palais che immagino trasformato in una bolgia dantesca. Detto che il successo per 30-29 pone fine all’imbarazzante serie di sconfitte di misura (della Santuccio la stoccata decisiva, dopo aver impattato a quota 29) va segnalato che si tratta del primo oro a squadre femminile nella spada: finora tutti i successi erano stati ottenuti nel fioretto. Più o meno contemporanemente Gregorio Paltrineri (per gli amici Greg) conquistava il bronzo negli 800 metri, al termine di una gara dall’avvio prudente, che lo ha visto passare in testa ai 650 metri metri per venire poi rimontato nell’ultima vasca dall’irlandese Wiffen e dallo statunitense Finke che lo hanno preceduto nell’ordine.
Questo avveniva mentre mi trovavo nella mix zone dell’impianto di Bercy, in attesa di intervistare Casella e le sue ginnaste. Un paio di colleghi mi hanno informato che il popolare Greg e la Fiamingo sono fidanzati e che erano andati a medaglia sfalsati di appena 14 minuti. Ovviamente ero all’oscuro delle vicende sentimentali dei due azzurri – so però riconoscere un salto Tsukahara, ma forse nel giornalismo di oggi è più considerato il gossip – però dall’entusiasmo con il quale mi è stata comunicata la notizia, non mi stupirei se nella prima pagina di un quotidiano nazionale mercoledì mattina campeggiasse la fotografia dei due colombini. Per finire tornerei a Versailles, dove, come detto, ho dato un’occhiata al dressage, provando pena per quei cavalli che marciavano impettiti o addirittura a passo di danza. Poiché questo avveniva nel parco della reggia, sono disposto ad accantonare per un attimo le mie simpatie giacobine per citare il verso forse più famoso della straordinaria canzone scritta da Dario Fo e Paolo Chiarchi e portata al successo nel ‘68 da Enzo Jannacci: Povero re e povero anche il cavallo. (Le immagini sono di Franco Bassini).
Qui filmato del dressage
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