Muta Imago: presente, passato e futuro di Tre sorelle

Claudia Sorace, regista, e Riccardo Fazi, dramaturg e sound artist, sono l’anima pulsante di Muta Imago, compagnia teatrale attiva dal 2006, «composta da tutte le persone che sono state, sono e saranno coinvolte nella realizzazione dei lavori». Per la prima volta affrontano un classico del teatro, Tre sorelle di Anton Čechov, nel modo che è loro più congeniale, ovvero con l’obiettivo di «indagare al presente il rapporto tra l’essere umano, il suo tempo e il suo sentire» (i virgolettati sono tratti dal sito). Le tre sorelle di Muta Imago sono relegate in un buco nero, una “voragine senza fine”, in cui il presente ha echi del passato e intuizioni del futuro, in una circolarità in cui «la Mosca del ricordo coincide con la Mosca del futuro, desiderata e abbandonata», tre donne abitate dagli altri personaggi del dramma cechoviano, che danno voce alle loro speranze e alle loro disillusioni, ben consapevoli che nel loro cuore “c’è l’inferno”. Strepitose le interpreti (Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli), affiancate dal compositore Lorenzo Tomio che esegue musiche originali dal vivo, mentre le bellissime luci sono di Maria Elena Fusacchia. Una potente e appassionante rivisitazione – peraltro fedelissima – che fa emergere la forza dirompente di Čechov, con una appassionante riflessione sul tempo e sullo spazio. Ne abbiamo parlato con Riccardo Fazi.

 

È la prima volta in cui affrontate Čechov. Peraltro le parole sono proprio le sue, ma c’è un lavoro incredibile di destrutturazione e ricomposizione…

All’inizio i materiali erano tanti, durante il percorso in prova abbiamo fatto incontrare il testo di Čechov con linee drammaturgiche che venivano da materiali altri. Abbiamo lavorato su una bibliografia femminile che ragiona sulla questione del tempo e del posizionamento dell’identità nei confronti del tempo, quindi partendo da Virginia Woolf, siamo arrivati a Susan Sontag, passando per Rebecca Solnit e alla fine solo il testo di Čechov è rimasto perché comunque l’incredibile profondità che queste parole da cento anni possiedono rende superfluo qualsiasi altro innesto. C’è solo un momento dello spettacolo che ci sembrava importante sottolineare, ovvero la questione del movimento del tempo, dove c’è un inserto di un testo scientifico che parla dei buchi neri e del loro funzionamento.

 

 

Come hai lavorato sul testo di partenza?

Di base sono partito da una riflessione su come il nostro presente continua a contenere il passato così come contiene molecole del futuro. Tre sorelle di Čechov è già di per sé un testo che si muove nel tempo perché sono 4 atti, per ogni atto passa il tempo, ma già dalle prime battute di Olga ci sono tre tempi contemporaneamente: oggi fa caldo, non come un anno fa quando è morto nostro padre, ma come undici anni fa quando siamo partiti da Mosca… , quindi il tempo è subito una delle grandi questioni. Il lavoro che ho cercato di fare, e che si è sviluppato piano piano, è stato sulle linee energetiche perché il tempo, come tutto quello che ci circonda, è una questione di vibrazioni, di energia. La fisica teorica, la fenomenologia ci dicono che il tempo non esiste e che tutto esiste contemporaneamente, ma questo si scontra con la nostra percezione del tempo: noi esistiamo ed esistiamo per una porzione limitata di tempo. Questo è un po’ il conflitto, però ne facciamo esperienza perché nelle nostre vite ci sono momenti che raggiungono un’intensità talmente forte riuscendo a lacerare questa rete di tempo che sembra scorrere in maniera lineare e facendo apparire ciò che è stato o ciò che sarà. In questo lavoro di smembramento e ricomposizione dei quattro atti, abbiamo scritto un testo che parte dal presente delle tre donne, dal presente delle tre attrici, che vengono riattraversate da questi momenti seguendo flussi energetici che sfondano la rete temporale e si muovono anche indietro nel racconto secondo linee di intensità come l’incendio perché gli eventi che puntellano il dramma fanno sì che gli squarci si riaprano. E l’energia che muove tutto, alla Interstellar, non è altro che l’amore.

 

 

In effetti c’è molto cinema nel vostro spettacolo: la destrutturazione del tempo di Nolan, le scimmie dell’alba della creazione di 2001: Odissea nello spazio, L’esorcista con le sorelle possedute dagli altri personaggi… Quanto il cinema è un riferimento nel vostro lavoro?

Il nostro teatro si nutre di tutto ciò che teatro non è. Questo da sempre, perché comunque crediamo più nel potere trasformativo che creativo dell’arte. Un riferimento importante è stato in realtà Grey Gardens di Albert e David Maysles, un documentario del 1975 sulla cugina di Jacqueline Kennedy e su sua figlia. Successivamente è stato fatto anche un film (di Michael Sucsy, nel 2009, ndr) con Jessica Lange e Drew Barrymore, ma di nessun interesse. Il documentario dei fratelli Maysles è bellissimo, si trova su YouTube in versione originale e integrale (qui) e racconta la storia di queste due donne che divorziarono dai rispettivi mariti, persero tutto e si trasferirono nella villa negli Hamptons non uscendone più e continuando a vivere come se il mondo fosse fermo agli anni 70 mentre fuori tutto il resto andava avanti. Questa è stata l’immagine molto forte da cui siamo partiti per collocare le nostre tre sorelle nella casa dove tutti sono andati e da cui sono partiti, chiuse in questo buco nero dal quale non riescono a uscire.

 

 

Il quarto protagonista è la musica eseguita dal vivo da Lorenzo Tomia. Come avete lavorato con lui?

Lorenzo è un quarto attore a tutti gli effetti, è stato presente durante tutto il processo di creazione così come Maria Elena alle luci perché consideriamo tutti gli elementi della scena come elementi drammaturgici che hanno la stessa importanza. Quindi la partitura musicale e quella luminosa sono andate di pari passo allo sviluppo del resto dello spettacolo. Per me è molto importante che Lorenzo esegua tutto dal vivo perché in questa riflessione sul tempo è fondamentale partire dal presente del teatro, dal presente scenico che è il luogo migliore per spostarsi nel tempo.

 

L’incipit mi ha fatto pensare alle streghe del Macbeth, alle Parche che tessono il destino dell’umanità, in altri momenti le tre sorelle sembrano un’unica creatura a tre teste. Sono suggestioni corrette?

Sono tutto quello che hai detto e altro ancora, sicuramente all’inizio c’è questa immagine delle tre sciamane che con il loro modo di abitare il tempo riaprono il racconto. Per noi, più che mandare messaggi, è importante sempre lasciare uno spazio grande in chi guarda, creare oggetti, mondi che accolgano il portato individuale dello spettatore, che non impongano una sola narrazione, ma permettano a chiunque di far dialogare il proprio vissuto, il proprio immaginario con quello che presentiamo noi. È in questo incontro che ha senso tutto quanto.

 

Foto di Luigi Angelucci

 

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