Ha attraversato tre dei decenni più intensi del nuovo cinema panarabo, Moufida Tlatli (scomparsa il 7 febbraio 2021 all’età di 74 anni, era nata a Sidi Bou Said nel 1947). Quelli delle nouvelles vagues che avevano fatto conoscere al mondo autori e autrici di un cinema moderno, libero, fresco per il modo di avvicinarsi a soggetti, storie, personaggi con sguardi e ritmi affilati e colmi di sensualità e desiderio. Tlatli, tunisina, è stata una di queste figure complesse e imprescindibili. Montatrice e regista. In quest’ultima veste ha realizzato solo tre film, esordendo con il folgorante Les silences du palais; nella prima, una lunga serie di capolavori del cinema tunisino e non solo. Ma prima del 1994, anno del suo debutto dietro la macchina da presa premiato al festival di Cannes con la Caméra d’or destinata alla migliore opera prima, Tlatli aveva già in filmografia tante opere, ormai divenute dei classici, delle quali aveva realizzato il montaggio. Fondamentale, dagli anni Settanta, la sua attività di montatrice, di lungometraggi e cortometraggi, dei più importanti film arabi (alcuni dei quali sono capolavori della storia del cinema, non solo africana), provenienti da Tunisia, Algeria, Marocco, Palestina, Libano. Vengono i brividi a riportarne i titoli tanto è stata immensa la loro forza poetica e politica, ancora oggi di insuperata potenza e attualità.
Quei film rappresentavano anche l’esistenza di strette relazioni verificatesi sul piano creativo all’interno della cinematografia dei paesi arabi, nell’idea di un cinema dalle forti identità nazionali e, nei suoi anni migliori, in grado di far muovere e incontrare i talenti più luminosi dando vita a utili contaminazioni. Tlatli firma il primo montaggio per Sejnane (1974) del tunisino Abdellatif Ben Ammar, sulla situazione politica in Tunisia. Seguiranno, fra gli altri, pietre miliari del nuovo cinema algerino (Omar Gatlato, 1977, di Merzak Allouache, ritratto sociale attraverso la quotidianità di un perdigiorno), libanese (Nahla, 1979, in cui Farouk Beloufa nel suo unico lungometraggio descrive la sinistra del suo paese negli anni Settanta), palestinese (lo straziante dittico di Michel Khleifi sulla Palestina devastata e resistente composto da Al-dhâkira al-khisba, La memoria fertile, 1980, e Nashîd al-hajar, Cantico delle pietre, 1990), tunisino (La traversata, 1982, di Mahmoud Ben Mahmoud, capolavoro assoluto sugli indesiderati, coloro che vengono rifiutati alle frontiere, ieri come oggi; il visionario Les baliseurs du désert, 1984, del cantastorie Nacer Khemir; Layla ma raison, 1989, di Taïeb Louhichi, storia di un amore leggendario e senza tempo; Halfaouine, 1990, di Ferid Boughedir, le avventure di un ragazzino tra le donne), marocchino (il ritratto di donne Une porte sur le ciel, 1988, di Farida Benlyazid)…
Moufida Tlatli chiude con il lavoro di montatrice nel 1994, anno in cui diventa regista. Les silences du palais è l’inizio, per lei, della costruzione di una galleria di personaggi femminili che saranno al centro di tutti e tre i suoi lungometraggi. Film di tangibile sensualità, sulla memoria e su una voce che seduce, sugli strati di un palazzo regale e sulle donne che lo abitano, sul finire di un’epoca storica (quella dei bey, gli ultimi re della Tunisia) e sull’affiorare della ribellione politica. Tutto osservato dalla giovane Alia, figlia di servi, amante del canto, che rievoca il suo passato nel palazzo, nelle cucine insieme alle altre donne, silenziose esecutrici di ordini, e nei piani alti dove cercherà, con la sua voce, di scardinare le gerarchie del potere. Seguiranno, purtroppo, solo altri due film. La saison des hommes (2000), dove una madre e due figlie adulte convivono in una dimora e in una società legate alle tradizioni che isolano, confrontandosi con il passato e con il peso di una casa (anche qui, come in Les silences du palais) e della sua impronta patriarcale. Le magnifiche ossessioni del cinema di Moufida Tlatli riaffiorano nitide. Meno riuscito il film che chiude la sua filmografia di regista, Nadia et Sarra (2004), in cui si concentra sulla relazione tra una donna in crisi e alle soglie della menopausa e la figlia diciottenne che vive la sua adolescenza di nascosto. Poi, un lungo silenzio, mai più interrotto. Nel 2011, nella Tunisia liberatasi dalla dittatura di Ben Ali, Moufida Tlatli viene nominata ministra della cultura nel governo di transizione.