Si era ritirato dal cinema nel 2018, con una decisione che aveva annunciato in tutti i modi possibili: aveva 82 anni e alle sue spalle una carriera di grandi film, con grandi registi e un successo planetario che non è mai venuto meno, da quando, nel 1960, il mondo conobbe Alain Delon nei panni del protagonista di Delitto in pieno sole. Pare che René Clément lo avesse chiamato a interpretare il ruolo di Filippo Greenleaf, ma l’attore lo convinse ad affidargli quello di Tom Ripley. Il successo è travolgente. Lo stesso anno è l’indimenticabile protagonista di Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, nel 1962 Michelangelo Antonioni lo dirige in L’eclisse e nel 1963 è Tancredi Falconeri ne Il Gattopardo. Sicuro di sé, presuntuoso e desideroso di piacere a tutti i costi, Delon diceva “Io sono un attore, non un commediante. Essere commediante è una vocazione: vai a scuola, impari a far teatro. Essere attore capita per caso”. (In apertura una immagine tratta da La prima notte di quiete (1972) di Valerio Zurlini).
Figlio del direttore di un piccolo cinema e di una commessa di Bourg-la-Reine, nell’Île de France, cresce in una famiglia adottiva e poi in un collegio. È un ragazzo inquieto che lascia presto gli studi e si arruola in Marina alla fine della guerra in Indocina. Tornato in Francia bazzica la malavita a Tolone e Marsiglia, poi si trasferisce a Parigi, ma non pensa al cinema fino a quando l’amica Brigitte Auber gli presenta il regista Yves Allégret che lo ingaggia per Godot nel 1957 e l’anno successivo in L’amante pura durante le cui riprese conosce l’attrice austriaca Romy Schneider, che amerà per tutta la vita (ma con cui visse una relazione breve e intensa). “Devi parlare come fai con me, guardare come mi guardi. Non recitare, vivi”, gli disse, e Delon costruì così il suo ineguagliabile stile. Un film dopo l’altro, un ruolo dopo l’altro, Delon diventa l’attore più amato dai registi francesi e italiani, ma è davanti alla macchina da presa di Jean-Pierre Melville e Jacques Deray che esprime tutte le sue contraddizioni e va fino in fondo.
Frank Costello faccia d’angelo (1967) rappresenta il punto di arrivo di una ricerca espressiva che saprà nel tempo farsi sempre più raffinata (si pensi a I senza nome del 1970 e Notte sulla città due anni dopo). Deray lo vuole per La piscina (1969) e Borsalino (1970), Valerio Zurlini gli regala un ruolo dolente e inarrivabile in La prima notte di quiete (1972). Divo tormentato e bellissimo, ha sedotto gli spettatori con il suo carisma enigmatico, diventando una sorta di icona della cultura popolare europea degli anni Sessanta e Settanta. Seduttore per necessità, si è lasciato sedurre soprattutto dalla fama e dalle sue implicite possibilità. Controverso e fortemente criticato per le posizioni politiche spesso estreme, ha saputo forgiare il suo personaggio all’insegna dell’autenticità a dispetto di tutto e di tutti. Impossibile dimenticare Nouvelle vague (1990) di Jean-Luc Godard, cortocircuito commovente ed elegante per un attore che aveva sfidato lungo tutta la sua carriera la nouvelle vague, ingaggiando una sorta di rivalità/amicizia con il quasi coetaneo Jean-Paul Belmondo.