Oggi chi se lo ricorda più il cinema di Claudio Caligari? Certo in occasione della morte sono comparsi frettolosi articoli sui quotidiani (a parte Il Manifesto che l’ha trattato come meritava) per raccontare che aveva da poco finito di montare Non essere cattivo prodotto da Valerio Mastandrea, che aveva fatto pochi film, che era un regista appartato e così via. Eppure se devo pensare a una delle opere più compiute sul movimento del ’77 non posso che guardare a La parte bassa (1978), documentario in presa diretta sui circoli proletari giovanili alla Statale di Milano. Girato fra mille difficoltà avrebbe dovuto contenere anche il (non) concerto di Antonello Venditti interrotto, meglio, mai fatto iniziare a forza di sprangate. La controcultura e i suoi irricevibili (anche dalla sinistra istituzionale) valori: cultura underground, sprimentalismo, affermazione della donna, attacco alla famiglia tradizionale, antipsichiatria (di nuovo Caligari con La follia della rivoluzione, 1977) vengono subito espulsi dal cinema.
Come hanno scritto Ciotta-Silvestri:”Cinecittà fa terra bruciata attorno per non coinvolgere nuovo immaginario. Il ’68 e il ’77 non diventeranno dunque, come altrove (soprattutto negli Stati Uniti), serbatoio prezioso (e controllato) per il ricambio professionale”. Per questo Caligari è di fatto sempre stato escluso dall’industria cinematografica. E dire che il suo esordio nel lungometraggio con Amore tossico (1983) era stato premiato a Venezia. Scritto con Guido Blumir. Il film segue la continua rincorsa al prossimo buco di un gruppo di autentici tossici fra Roma e Ostia. I protagonisti, Cesare e Michela, trasmettono un terrificante senso di precarietà e di straziante desolazione, con i flash-back che spezzano l’azione, dilatano i tempi fra dialoghi dagli echi pasoliniani (si finisce a farsi le pere sotto al monumento al poeta…), con Caligari attento a non lasciarsi attrarre dalla commozione e dalla scorciatoia sociologica ma lucido nel mantenere lo sguardo ad altezza di borgata. Per rivederlo dietro la macchina da presa ci sono poi voluti 15 anni. Nel ’98 ha girato L’odore della notte, storia di rapine nella Roma-bene con venature d’umorismo (Little Tony che fa Little Tony), ritmo elevato e un bel cast (Mastandrea, Giallini, Tirabassi). Ora aveva girato e montato “una storia di ragazzi di vita degli anni novanta”. E sarà ancora una volta cinema non allineato, non pacificato, non consolatorio.