Due fratelli ventenni dietro il successo del cineclub dell’Istituto Italiano di Cultura di Londra

Lavinia Bianchi

Il cinema in una metropoli (“sai che novità”). Ma aggiungiamoci qualche fattore e il risultato cambia. Ce lo insegna Lavinia Bianchi. L’ho conosciuta all’università, la University College London: giovane romana classe 1998, ha portato il cinema italiano a Londra insieme al fratello Giulio. Lavinia studia letteratura comparata ma coltiva anche un’altra passione, profonda: il cinema. Lavinia non è soltanto un’amante del grande schermo: crede nel potere del cinema come incontro di persone e scambio culturale. Per questo, da settembre organizza con il fratello un’iniziativa originale e genuinamente made in Italy: un piccolo “festival familiare” del cinema italiano. L’idea è iniziata con una serie di proiezioni mensili nel loro appartamento di Londra, dopodiché gli eventi, aperti ad un pubblico più vasto, sono stati trasferiti all’Istituto Italiano di Cultura della capitale con la collaborazione del direttore Marco Delogu. Abbiamo incontrato Lavinia Bianchi.

 

Come è nato il progetto che hai ideato con tuo fratello Giulio?

L’intenzione era di ricreare un ‘Cinema America’ a Londra. I ‘Ragazzi del Cinema America’ sono dei giovani studenti, tra i 16 e i 23 anni, che ogni estate si impegnano a popolare ed animare le piazze di Trastevere, trasformandole in vere e proprie sale cinematografiche all’aperto. Mentre il loro è un progetto nato per resistere contro la completa inerzia delle istituzioni culturali romane, il nostro affonda le radici in una genuina passione per il cinema. Lo scopo è però comune: entrambi i progetti si impegnano a riunire insieme persone di età, culture ed esperienze diverse, attraverso la magia del cinema che non si consuma, ma che richiede una nostra partecipazione attiva.

 

Quale quid in più offre un cineclub come il vostro rispetto al normale cinema multisala che siamo abituati a frequentare?

Si può dire che, per certi versi, il nostro cineclub è partito dall’idea di “fare di più”. Abituati al cinema londinese, caro e spesso di bassa qualità, mio fratello ed io abbiamo pensato di attrezzarci con un proiettore, delle casse (le più economiche su Amazon), un paio di sedie di scorta e tre buste di popcorn da microonde. Ed ecco che siamo riusciti a montare una mini sala “fai da te” nella cucina del nostro piccolo appartamento a Little Venice. Pubblicato l’evento su Facebook, iniziavano già ad arrivare le notifiche dei primi “parteciperò”. Quel venerdì eravamo circa una ventina di ragazzi, alcuni appena usciti dall’università, altri di corsa dal lavoro. Tutti per vedere Relatos Salvajes di Almodovar. D’altronde, chi avrebbe detto di no a un venerdì sera tranquillo, davanti a un film con vino e popcorn gratis? E per di più non il solito venerdì da isolamento in camera – sguardo fisso sul catalogo di Netflix – ma un venerdì, in qualche modo, “social”, un’occasione per poter incontrare gente nuova. Penso che il cineclub sia appunto un’opportunità non solo per guardare film, ma per conoscersi, parlare, confrontarsi ed apprezzare il cinema gomito a gomito con uno sconosciuto. Spesso vediamo i film come qualcosa di lontano, irraggiungibile. Io credo che ogni pellicola abbia qualcosa da dire sulla nostra esperienza personale e che l’unico modo di amare un film fino a in fondo sia attraverso il dialogo.

 

 

Poi però dall’appartamento di casa il vostro cineclub è approdato all’Istituto Italiano di Cultura di Londra. In che modo questa transizione ha influenzato o cambiato i vostri obiettivi e il vostro pubblico di riferimento?

Purtroppo, nonostante il nostro entusiasmo e quello dei nostri amici, il vicinato sembrava apprezzare un po’ meno. Ed è così che ho iniziato a cercare altrove. Grazie all’aiuto della professoressa Chimenti e del direttore dell’Istituto Italiano di Cultura Marco Delogu, il cineclub si è trasformato in qualcosa di più grande. Un cambiamento importante vista la sede nella lussuosa Belgrave Square. Ma soprattutto un’occasione per rendere gli eventi aperti ad un pubblico più vasto, che includa non solo ragazzi della nostra età ma anche genitori, nonni, bambini. Questa è la cosa che più ci fa piacere: poter raggiungere persone diverse, che solitamente non si incontrano nella vasta metropoli londinese. Inoltre, grazie alla rinomanza dell’IIC, abbiamo fatto un ulteriore (piccolo) passo avanti. Ad ogni proiezione invitiamo uno speaker – un professore, attore, regista o esperto di cinema – che possa rispondere alle domande del pubblico. Più che un cineclub, dunque, il nostro progetto è diventato un cineforum. Un quid in più che forse rende gli eventi più “attraenti” al pubblico, vario e sempre impegnato, di Londra.

 

Perché cinema italiano proprio a Londra? E come è vista, secondo te, la cinematografia italiana in un panorama così internazionale e cosmopolita come quello londinese?

Ti voglio dare due risposte. La prima, più banale, è che sono un’italiana fiera del mio Paese e questo è il mio modo di “sponsorizzarlo”. La seconda risposta, più profonda: il cinema italiano rappresenta sia un valore culturale per i tanti italiani residenti a Londra (vedere e/o rivedere film italiani per un italiano significa ritrovare qualcosa di familiare, che ha il profumo di casa), sia un punto di riferimento per molti cineasti internazionali. In realtà, abbiamo intenzione di proiettare non solo film italiani ma anche di registi stranieri che hanno qualche collegamento diretto o indiretto con l’Italia. Un paio di settimane prima del nostro evento di maggio all’IIC sono andata alla presentazione del libro di Oscar Iarussi I Luoghi del Cinema. L’Italia nel cinema viene raccontata non solo dai grandi De Sica, Visconti e Fellini, ma anche attraverso il cinema internazionale, il quale, per anni, ha utilizzato la nostra penisola come set cinematografico.

 

Che cosa vi ha offerto Londra in termini di mezzi ed opportunità per la realizzazione del vostro progetto?

Non penso che questo cineclub si sarebbe realizzato così in fretta in Italia. Nel nostro Paese le procedure burocratiche sono molto più lunghe. Basta vedere tutti i problemi con bandi e quant’altro che hanno avuto i ‘Ragazzi del Cinema America’ quest’estate. Per noi è stato fin troppo semplice: abbiamo avuto l’idea, ci siamo presentati al direttore Delogu con una brutta copia del programma, e lui ci ha dato l’ok. Semplice e rapido. È vero che questo progetto è ancora agli inizi e si parla solo di un centinaio di persone presenti ad ogni evento. Però credo che Londra favorisca questi progetti proprio per la sua costituzione: in un ambiente così internazionale ed attivo, il giovane studente è di norma agevolato ed aiutato. La metto sullo spiritoso: vuoi iniziare un club di formaggi all’università? Chiedi, firmi qualche documento ed è fatta. In realtà non si tratta di un esempio così astruso: praticamente ogni università londinese ha il suo sistema di “Clubs and Societies”, gruppi organizzati da studenti per lo sport e l’intrattenimento. Si va dal teatro all’hockey, dalla pasticceria alla Capoeira. Ce n’è per tutti i gusti e per tutti i progetti. E’ in questo clima d’apertura che abbiamo realizzato il nostro cineforum.

 

Il programma di proiezioni che proponete copre un arco temporale piuttosto ampio, dal Neorealismo al nuovo cinema italiano dei giorni nostri…

Il programma è solo una brutta copia, una linea guida da allegare alle mail che mando quando sono alla ricerca di uno speaker. Cerchiamo di essere il più aperti possibile alle richieste e preferenze degli ospiti che invitiamo a presentare, in modo da scoprire noi stessi film nuovi, mai visti prima. A maggio, per esempio, secondo il programma, avremmo dovuto far vedere Ossessione di Luchino Visconti. All’ultimo, abbiamo deciso di proiettare il film documentario PALIO perché la regista Cosima Spender era disponibile quella stessa sera. Questo per dire che non esiste una vera e propria scaletta cronologica dei film che faremo vedere. Per rispondere meglio alla tua domanda, è vero che molti dei film nella lista sono dei grandi classici cinematografici; penso sia cruciale conoscere le basi del cinema italiano. Allo stesso tempo, però, lo scopo è quello di alternarli con film italiani contemporanei. L’Istituto Italiano di Cultura di Londra fa proprio questo: favorisce gli scambi culturali tramite eventi che ricordano i grandi classici, dalla Divina Commedia di Dante ai concerti di Verdi, ma soprattutto promuovendo tutto ciò che è nuovo e ancora sconosciuto. Tornando al cinema, è importantissimo portare sugli schermi quei film che spesso rimangono intrappolati nelle sale italiane e che il pubblico inglese, altrimenti, non avrebbe mai l’opportunità di vedere.

 

Quella per il cinema è una passione che vi accompagna da molto tempo? Come l’avete coltivata?

Devo dire che nostro padre ci ha sempre portati al cinema sin da quando eravamo molto piccoli. A soli 12 anni, per esempio, avevo già visto e rivisto tutto il repertorio dei film di Stanley Kubrick (Arancia Meccanica compreso). A 17 anni, sempre con lo zampino di mio padre, ho deciso di scrivere il mio “Extended Essay” (una sorta di tesina di maturità richiesta dalla Scuola Internazionale, n.d.a.) sul cinema neorealista italiano – più precisamente sul ruolo dei bambini in Ladri di Biciclette. Il vero punto di svolta è stato andare ad abitare a Trastevere, dove ci sono tanti piccoli cinema “non commerciali”, dal Nuovo Sacher fino al Cinema In Trastevere. Quasi ogni settimana andavamo al cinema con la mia famiglia e ritrovavo le stesse 10 o 15 facce, anche loro fedeli appassionati. Ritrovarmi all’interno di mini sale a guardare un film insieme a 20 altre persone era una sensazione molto diversa da quella a cui ero stata abituata nel frequentare i grandi multisala dei labirintici centri commerciali fuori Roma. Andare al cinema era diventato un modo per ritrovare quei visi sconosciuti ma accomunati da una passione che conoscevo bene, perché era anche la mia.

 

 

Perché in un mondo come il nostro, dove il cinema viene consumato ogni giorno su Internet con un semplice click, c’è ancora bisogno di un cinema in cui spettacolo e persone si incontrano e conoscono poco a poco?

Il nostro progetto nasce proprio dal desiderio di rendere il cinema più “slow”, un trend che oggi sembra funzionare bene se si pensa a campi come quello della gastronomia o del turismo. Nel ventunesimo secolo siamo abituati a fare tutto di fretta, senza troppa attenzione. Forse siamo diventati pure più pigri. I film e le serie televisive ce li guardiamo in pantofole su Netflix o in streaming: una volta finito, chiudiamo la schermata facendo click sulla ‘X’ in alto a destra. Noi cerchiamo di proporre qualcosa di un po’ diverso in aggiunta al film in sé e per sé, cioè una breve sessione introduttiva e un dibattito che possa far interagire ospiti e spettatori con le loro domande al termine di ogni proiezione. Molti a dirla tutta non hanno poi il coraggio di farsi avanti con le domande; ma il solo fatto di essere usciti di casa, aver preso la metro ed essersi presentati in una sala piena di gente sconosciuta, con la voglia di imparare e di ascoltare, è già un successo.

 

Azzardando una previsione, come si evolverà il progetto? Dove vi porterà?

Spero che questo progetto continui a crescere con il tempo, io e mio fratello ci teniamo moltissimo. E’ il nostro modo di staccare la spina e ci piace perché siamo riusciti a farlo insieme. Non è sempre facile trovare compromessi tra fratelli…E poi, chissà, magari si aggiungeranno altre persone che hanno voglia di aiutarci. Anzi, ne approfitto per dire ai lettori di unirsi a noi, come spettatori o come organizzatori. Perché, e mi pare che da questa intervista sia emerso più volte, un cineclub non è definito (solo) dai singoli film ma dalle persone che scelgono di parteciparvi, instaurare un dialogo, relazionarsi. Vi aspettiamo!