Venezia81 – Amos Gitai si chiede: Why War

Presentato fuori concorso a Venezia81, il nuovo film di Amos Gitai è una dissertazione sul sentimento della guerra  condotta attraverso l’analisi dell’epistolario del 1932 tra Sigmund Freud e Albert Einstein  su come evitare la guerra. Irène Jacob, Mathieu Amalric, Micha Lescot sono tra i protagonisti del film, girato tra Vienna, Berlino, Tel Aviv e Parigi, con un cast e una troupe internazionale che comprende israeliani e palestinesi, “un microcosmo felice – lo definisce Gitai -, un contesto di amicizia alla larga da ogni demagogia”.

 


 

Senza finanziamenti
Why War, che non ha avuto finanziamenti pubblici da parte di Israele, esplora la questione della guerra in senso generale, non è focalizzato sul conflitto israelo-palestinese. In Israele tutti credono di essere il centro del mondo, mentre sappiamo dai tempi di Copernico che il nostro pianeta è rotondo, e questo non è l’unico conflitto in corso. Ci si chiede, quindi, perché l’uomo è spinto verso la guerra in senso più generaIe. Ho fatto questo film in modo molto semplice, è un film minimalista. Dopo l’inizio del conflitto, dopo il 7 ottobre 2023, ero molto triste, perché il Medio Oriente, regione che amo è crollata di nuovo in una situazione di guerra. Siamo stati metaforicamente rapiti in senso collettivo da un gruppo di persone che vuole prolungare questa guerra e noi non vogliamo che si protragga. Per questo ho pensato che tutti dobbiamo farci questa domanda: perché la guerra?
Gli europei non dovrebbero dimenticare che meno di cento anni fa sono riusciti a bombardare l’intero continente e a provocare la morte di milioni di persone, nei modi peggiori. Questo ci porta alle più semplici conclusioni, che non si deve mai iniziare una guerra. Siamo andati in giro per il mondo e abbiamo continuato a chiedere alla gente perché l’uomo fa la guerra. Abbiamo iniziato girando a Vienna con Mathieu Amalric, poi abbiamo continuato a Tel Aviv Con Iréne Jacob, Micha Lescot, Jérôme Kircher, Yaël Abecassis, Keren Morr. Poi siamo andati a Berlino e infine a Parigi. Una sorta di società poetica itinerante.

 

 

Non c’è alternativa all’ottimismo
A volte il punto più basso lascia spazio alla riconciliazione perché queste persone capiranno che la guerra non è la strada da percorrere. Non possono continuare ad uccidersi a vicenda. Io credo che sia Hamas che il governo di Benjamin Netanyahu dovranno agire in nome della pace. I Palestinesi dovranno capire che Hamas non è una soluzione. Il fondamentalismo non è una soluzione. Non ci saranno diritti per le donne, né per i cristiani d’Oriente, non ci saranno i diritti LGBT. Gli iraniani sono già andati in questa direzione quando hanno appoggiato Khomeini e le cose sono andate in un verso sbagliato. Noi israeliani dobbiamo sbarazzarci del governo estremista, nazionalista di destra, razzista e ultrareligioso. I due gruppi devono fare un po’ di “pulizia” e poi forse si potrà costruire un nuovo ponte. Adesso non c’è, ma dobbiamo mantenere l’idea che un giorno ci sarà.

 

 

L’iconografia della guerra
Se guardiamo la televisione israeliana, vi troviamo solo le atrocità del 7 ottobre, lo stupro delle donne, l’incendio dei kibbutz. Se fossi un israeliano normale e vedessi queste immagini, direi: ‘Uccidiamoli tutti’. Allo stesso modo le reti arabe mostrano la distruzione di Gaza, e la ferocia dell’esercito israeliano, con l’uccisione di decine di migliaia di persone. La maggior parte di loro non sono terroristi, ma sono civili, bambini, persone che vogliono vivere una vita normale, mentre devono combattere contro la poliomielite e la mancanza di cibo. Ebbene, se io fossi un palestinese e vedessi solo queste immagini, direi: ‘Continuiamo la guerra’. Questa iconografia prolunga la guerra, quindi abbiamo deciso di fare un film contro la guerra senza immagini di guerra. Dobbiamo trovare nuovi modi per ricostruire questa bellissima regione… nonostante le ferite, le tragedie e i brutti ricordi, dobbiamo costruire qualcosa di diverso. Questo non può andare avanti. Lo scambio di lettere tra Albert Einstein e Sigmund Freud ha definito il discorso moderno sulla violenza umana di massa che avviene in nome della religione, della razza e della nazionalità. Il cinema che faccio si ispira alla realtà e al contesto in cui viviamo. Il film evita di mostrare l’iconografia e le fotografie degli orrori della guerra e della distruzione che continuano ad alimentare le guerre. Come scriveva Sigmund Freud ad Albert Einstein, concludendo la sua lettera, “nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che funziona per lo sviluppo della cultura funziona anche contro la guerra”.